“I Pluto? Certo che me li ricordo: erano i più grandi di tutti”
Così si chiude il (delizioso!) film di Carlo Virzì “I più grandi di tutti”, con Vasco Rossi intervistato sui titoli di coda. E deliziosa è anche questa trovata finale di un piccolo documentario “alla Zelig”, con le testimonianze su questa band dimenticata che prova il sapore di un’improbabile riunione. Band che è nata dalla fantasia di Carlo Virzì, ma rispecchia gli umori, la carica e poi la malinconia di chi un paio di decenni fa girava l’Italia alla disperata, con addosso tanta voglia di fare rock. E a Virzì piace giocare su questo filo del vero o falso: ci sono perfino le note biografiche dei Pluto, i video su youtube e un CD musicale (datato ’96) interpretato da chi i Pluto li incarna sullo schermo: Claudia Pandolfi, Marco Cocci, Alessandro Roja e Dario Kappa Cappanera.
Ma quest’idea dei titoli di coda c’era già dall’inizio o è arrivata in corso d’opera?
“E’ nata durante la lavorazione. A un certo punto abbiamo pensato che sarebbe stato carino mettere dei dubbi al pubblico. Verrà da chiedersi: questo è un gruppo di fantasia o non lo è se se li ricorda perfino Vasco Rossi? Abbiamo lavorato molto anche per la stesura di questo fake musicale, all’inizio volevo che suonassero i maniera più dilettantesca, poi è stato meglio che fossero più veri, dando l’impressione che ci sapessero fare. E alla fine chi li scopre su internet pensa che i Pluto siano esistiti davvero”.
Carlo Virzì, che ha musicato quasi tutti i film del fratello Paolo, conosce bene questo mondo, lui stesso ne faceva parte quando suonava col gruppo livornese degli Snaporaz (bel nome per un cinefilo!), e l’ha raccontato con tangibile affetto.
“Sì, il film è nato dall’affetto per quella categoria di musicisti che non entrano nelle classifiche e girano l’Italia col furgone, e dalla voglia di mettere il rock nella commedia, essendo io un musicista. Negli Anni 90 facevo proprio quello che facevano i Pluto, giravo in lungo e in largo lo Stivale per esibirmi davanti a 4 o 5 persone. La musica era diversa, gli Snaporaz non piacevano tanto ai rockettari, ma in comune abbiamo quella stagione felice dell’utopia del rock and roll, quando prolunghi l’adolescenza”.
Ne nasce un ritratto affettuoso e tenero. I Pluto, 15 anni dopo la loro separazione, sono, ognuno a suo modo, dei poveri sfigati delusi, chi più rabbioso, chi più rassegnato, chi perennemente bambino. Si sono persi di vista e hanno smarrito perfino i ricordi. Ma c’è chi ancora li ricorda bene, uno strano giornalista che si proclama loro fan accanito e sembra conoscerli meglio di quanto si conoscano loro, e li riunisce a forza. Quando li accoglie scoprono che un miliardario in sedia a rotelle e, un po’ per pietà, lo assecondano riaprendo un capitolo chiuso, ma ritrovando a poco a poco quell’energia e quella carica che avevano perso e dimenticato e che fa andare avanti meglio tante cose nella vita.
“Ludovico, che è viziato, anche un po’ falso, e abituato a comandare, fa leva su una certa compassione e la sfrutta per rimettere insieme il gruppo” dice Corrado Fortuna, che lo interpreta.
Un film lieve, gradevolissimo, che evita le trappole di ogni lacrimosa retorica (si glissa perfino sulle cause della separazione e i flash back, brevi e velati come ricordi che riaffiorano a fatica, sono squarci leggeri su un passato che non si è cancellato del tutto dalle loro anime appassionate). Un film che parla d’amore per chi fa musica, la stessa musica che scorre nel sangue dei suoi attori. “Vengo proprio da quel mondo lì e voglio rappresentare la differenza tra rockers e rock star. Rino è proprio uno di quelli che non ce la fa ma che poi rinasce, mette da parte l’ascia di guerra e giù a spaccare” dice Dario “Kappa” Cappanera, che quasi in contemporanea con l’uscita del film, vede anche l’uscita del suo primo album da solista, in cui il chitarrista debutta come cantante. “La musica per me è una necessità fisiologica, senza potrei anche morire” dice Marco Cocci, un esilarante Maurilio “Mao” Fantini voce del gruppo, attore che proprio il fratello di Carlo, Paolo Virzì, aveva lanciato nell’agrodolce e indimenticabile “Ovosodo”.
Citazioni dei Blues Brothers completano il tutto. “Non si può fare a meno di pensare ai Blues Brothers in un film che racconta la riunione di una band – conclude Virzì – Ma mi piace anche pensare a riferimenti più moderni come School of Rock o Full Monty soprattutto per la parte sul rapporto tra padre e figlio”. O “I Commitments” aggiungiamo noi pensando a uno dei nostri film cult.