Intervista esclusiva a William Friedkin

10/10/2012

In occasione della consegna del Leone d'Oro a William Friedkin riproponiamo l'intervista al regista che lo scorso anno, mentre sugli schermi usciva Killer Joe, in una lunga telefonata da Los Angeles, ci ha raccontato la sua visione del lato oscuro dell’America, l’amore per i grandi classici del Cinema Italiano, il suo essere controcorrente

Un noir. Finalmente un noir vecchio stile, cinico, spietato, crudele, venato da uno humor feroce che rende tutto paradossale. Un film che raccoglie l’eredità della miglior tradizione noir ed al contempo è qualcosa a sé, nuovo, non catalogabile, sorprendente nel divertire con una storia atrocemente cupa.  E’ Killer Joe (nelle sale italiane da domani), l’ultimo film di William Friedkin, regista che non smette mai di regalarci emozioni e brividi, e anche persona di una gentilezza squisita, con cui è un autentico piacere parlare. Così, in una lunga telefonata dalla sua casa di Los Angeles, Friedkin ci racconta la sua visione del lato oscuro dell’America, l’amore per i grandi classici, il suo essere controcorrente. Partendo proprio da Killer Joe, in cui un fantastico cast composto da Matthew McConaughey, Emile Hirsch, Juno Temple, Gina Gershon e Thomas Haden Church interpreta un nido di vipere, una famiglia di dannati che alla fine del film vedremo con perfida ironia riunita intorno al desco.

“Tracy Letts, uno dei maggiori scrittori americani, mi ha spedito lo script tratto dalla sua pièce: io e lui abbiamo la stessa visione sul mondo della violenza, non crediamo in un cinema che mostra i supereroi che rendono il mondo migliore. I personaggi di Killer Joe sono tutti più sporchi. Eppure in ognuno c’è un lato oscuro e un lato luminoso. Io non giudico i miei personaggi. Mai. Come regista il mio lavoro è creare un’atmosfera. Perché l’azione è il personaggio. I personaggi non sono quello che dicono o quello che la gente pensa di loro, ma ciò che fanno e io li creo in questo contesto.”
“Hai pensato ai grandi noir come La Fiamma del Peccato (Double Indemnity)? E qual è la tua visione sul cinema noir di oggi?”
“Ovviamente film come Double Indemnity li ho visti tantissime volte e li amo molto, ma non avevo in mente altri film quando ho girato Killer Joe, è un film a sé. Nel Cinema Americano tutto è molto più per bene, se capisci cosa voglio dire. Molti film fatti a Hollywood possono presentare personaggi malvagi, ma c’è un buonismo di fondo. Ma Killer Joe è contro questa idea dei Supereroi che si occupano di tutto nel mondo, mettono tutto a posto, arriva Capitan America e risolve tutti i tuoi problemi, è una visione infantile. In ognuno, ovunque, c’è sempre un lato oscuro, qualcosa di malvagio”.
Parola del regista che nel ’73 girò l’Esorcista e che, da Il braccio violento della legge (The French Connection) a Cruising e Vivere e morire a Los Angeles ha sempre esplorato l’anima nera dentro di noi. Con “Bug” avviene l’incontro con Tracy Letts
“Se negli ultimi sette anni ho girato solo due film e entrambi con lo stesso scrittore significa che condivido le sue idee  e che non sono più attratto dal Cinema Americano. Lo ero, c’è stato un tempo in cui volevo fare quel tipo di film che sono prodotti in America e che sono sui valori americani, ma Killer Joe è sulla distruzione della famiglia americana. Il film non vuole rappresentare tutta l’America, è solo su questa gente in questa situazione, ma presenta un lato dell’America che spesso non viene mostrato”.

“Quali sono invece i tuoi film del cuore?”
“Sono quasi tutti vecchi film che continuo e continuo a riguardare. La Nouvelle Vague francese, il Neorealismo Italiano, Otto e mezzo di Fellini, Antonioni con La Notte, L’eclisse, L’Avventura, La Grande Guerra di Monicelli, Bertolucci, tutto il grande cinema degli Anni Sessanta, Elio Petri con La Decima Vittima, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto con Gianmaria Volonté che è uno dei più grandi attori mai esistiti, Ettore Scola e tutti i grandi registi italiani. E così i francesi, Alain Resnais, Claude Chabrol, François Truffaut, H.G. Clouzot che è uno dei più grandi registi di suspense e che paragono a Hitchcock. Vedi, Gabriella, molti dei film che guardo sono i grandi classici, non seguo il cinema di oggi. Non arrivano film italiani in America, è arrivato Gomorra, ma non ne escono molti qui e così conosco poco del cinema italiano di oggi. Così guardo i classici, come in un museo”.
“E cosa provi rivedendo o ripensando oggi ai tuoi film?”
“Non riguardo mai i miei film, solo se vado a un festival, ma anche qui voglio sentire altre voci e nomi. Ma i miei film li conosco troppo bene, non mi sorprendono né mi meravigliano e parte della gioia del film è la sorpresa. Penso che alcuni siano fatti bene e altri no, non mi soddisfano. La mia intenzione è di realizzare sempre un film buono come il precedente, ma non li riguardo e quindi non posso giudicarli”
“A cosa stai lavorando ora?”
“Ora non sto lavorando al cinema, ma sto tentando di finire la mia biografia a cui sto lavorando da tre anni. In Italia sarà pubblicata la prossima primavera dalla Bompiani di Elisabetta Sgarbi, è lei che ha diritti italiani”.
Ci racconterà molte altre cose nel suo libro, per oggi è stato davvero bello parlarti

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Gabriella Aguzzi