Il Peggior Natale della mia Vita

22/11/2012

Torna il catastrofico personaggio interpretato da Fabio De Luigi e dalla peggior settimana della sua vita passa al peggior Natale. L’ambientazione si sposta in un castello innevato, dove lo attende la moglie incinta, lo attendono i suoceri e anche un nuovo personaggio, il capo del suocero interpretato da Diego Abatantuono. Naturalmente De Luigi irromperà come un vulcano facendo disastri nella delicata situazione che lo sta aspettando.
Lo abbiamo intervistato, insieme a Diego Abatantuono, al regista Alessandro Genovesi e ad Ale e Franz che ricoprono il ruolo di due becchini.

“Cosa le piace di più di questo catastrofico personaggio?”
“Mi diverte molto, avendolo pensato insieme ad Alessandro Genovesi. Sono soddisfatto del lavoro che ho fatto e mi è piaciuto anche interpretarlo, perché gli faccio fare cose che a me fanno ridere, che mi divertono”.
 “Quale è stato il suo apporto alla sceneggiatura?”
“E’ un’esperienza condivisa con Alessandro. L’ho affiancato, ho dato pareri e suggerimenti rispetto a un lavoro che lui ha condotto dall’inizio alla fine”
“Ci sono gag molto spettacolari…”
“Quelle ce le siamo portate dietro dalla serie inglese che sta all’origine. Ci sono un paio di risate grosse, l’evoluzione della buccia di banana classica, quella “comicità di purezza” come si dice alla scuola dei mimi, che aiutano a mantenere tutto il resto. Ogni tanto puoi introdurre un disastro clamoroso che suscita la risata ma che serve anche a tenere in equilibrio una storia parallela”
“Cos’ha di diverso questo film dagli altri film natalizi?”
“Gli altri sono definiti natalizi perché escono a Natale, qui il Natale è un protagonista del film, il periodo è parte integrante della storia”
“Cosa c’è di nuovo rispetto al precedente film, La Peggior Settimana della mia Vita?”
“I personaggi sono degli archetipi che si ripetono, di nuovo c’è più coralità nella struttura e quindi la comicità, il clima di commedia che si respira all’interno non è unidirezionale. Avendo già un nemico, il suocero, un altro antagonista sarebbe diventato un doppione, serviva quindi una figura diversa con cui potevo muovermi un po’ meglio”

E’ di questa coralità, di questa marcia in più, che ci parla Alessandro Genovesi
“Il primo film è nato da un format della BBC già esistente e quindi si rapportava ad una comicità più televisiva, perciò ho pensato ad un approccio che potesse riportare più al cinema che alla TV. Quello che ho cercato di fare è stato proprio rivoluzionare il tutto già dalla location principale, poi ci sono nuovi personaggi e quindi l’accanimento non avviene tutto all’interno della famiglia di Margherita ma ho voluto provare a vedere cosa sarebbe successo se si fosse accanito anche su un altro personaggio e ho cercato un nuovo legame. Il personaggio di Diego mi sembrava creare un ponte, un intreccio con il personaggio di Antonio Catania che di riflesso prendeva anche il personaggio di De Luigi e tutti quanti. E poi c’è l’ambientazione del Natale. Il Natale è un archetipo, un momento in cui si sta tutti insieme, nella Peggior Settimana della mia Vita c’era un protagonista, invece nel Natale, che è una festa collettiva, era più bello sia dal punto di vista della sceneggiatura che delle riprese riunire tutti insieme”
C’è anche un sapore milanese, appunto nel personaggio di Diego, a caratterizzare il tutto e a mettere una molla in più?”
“Direi più che altro che manca un aspetto napoletano, dato l’anno scorso da Alessandro Siani, più che esserci una regionalità. Ho avuto la possibilità di avere gli attori comici più bravi e di poterli mettere tutti insieme dentro un castello con un testo che funziona e di vedere cosa succede. E Diego è un attore bravissimo, con il peso di storia che si porta con sé.”
Interviene Abatantuono “Ho la fortuna di non avere una regionalità, essendo nato come terroncello, poi diventato settentrionale, poi ancora meridionale. E infatti quando dico la battuta ‘Che razza è? Credo che sia meridionale’ posso dirla io perché è ormai sdoganato che non ho nessuna forma di razzismo, o sarei autolesionista. Il problema della regionalità c’è da quando molti, ma dico molti, anni fa si è deciso che in un cast ci devono essere un siciliano, un pugliese e via dicendo, e questo sembra l’inizio di una barzelletta. I film si fanno dove si svolgono, certo l’internazionalità dei partecipanti dà un senso di apertura”.
 “La rivediamo in un film della Colorado…”
“Quando facciamo dei film prodotti da noi non è indispensabile che io ci sia, come non è indispensabile che ci sia Gabriele, così ho finito con l’interpretare più film con altre produzioni che con le nostre e questo diventa quasi una forzatura. Non volevo diventare quello che nei suoi film non c’è mai, può anche essere che mi prendano in un film che produciamo noi. Va bene essere democratici, ma c’è un limite. Poi ci siamo conosciuti sul set di Happy Family e quando si lavora bene con un gruppo di persone che si conosce viene voglia di ripetere l’esperienza con un film diverso, quindi speriamo che si possa andare avanti ancora, anche perché significa che le cose sono andate bene”.
“Genovesi, perché la sostituzione della Guerritore con la Bonaiuto?”
“Monica aveva un impegno di teatro e noi per girare avevamo bisogno della neve (che poi non abbiamo trovato) quindi di un periodo il più vicino possibile all’inverno. Anna Bonaiuto sembrava accordarsi dal punto di vista dello stile recitativo con Antonio Catania e con gli altri”.
“Come avete scelto l’ambientazione in un castello?”
“Il Castello dava questo tono fiabesco, quasi disneyano, anche se la fiaba ha dei momenti neri, penso soprattutto al pezzo di Ale e Franz e alla finta morte di Diego. Se l’anno scorso era dissacratorio tutto quello che era riferito al matrimonio in questo film ci sono anche osservazioni nei confronti della vita, della morte, della nascita”
“E – precisa Abatantuono – la nascita non è vista in modo dissacratorio, resta la scena più bella ed emozionante del film. Si passa da un attimo prima di assoluta ilarità a un momento che diventa vero. Quando in un film riesci a passare rapidamente tra due stati d’animo, che la commedia sia surreale o realistica, hai ottenuto il risultato: è la cosa che in Italia sapevamo fare meglio e vuol dire che si riesce a portare avanti questa caratteristica”.

Passiamo così ai due protagonisti quando la morte è di scena, Ale e Franz. “Ci siamo divertiti tantissimo a scherzare con un tema sul quale a tutti piacerebbe scherzare. Come spesso succede nei ruoli piccoli, se riesci a trovare delle caratteristiche forti nei personaggi ti puoi divertire molto. E la cosa più bella è lavorare con amici di vecchia data, ci si conosce, ci sono meno inibizioni, c’è più confidenza”.
“Cosa vi è piaciuto di più nella comicità di questo film?”
“Tutti i personaggi sono molto ben scritti, senza volgarità, misurati e a noi piace far ridere con personaggi veri, mai sopra le righe, quasi sussurrati. Il film è nato con lo spirito di far ridere ed è divertente nella sua totalità, tutte le scene sono costruite in modo da far ridere in quella successiva, appunto senza volgarità, senza stereotipi. E in tempi come questi far ridere è molto importante”.

Gabriella Aguzzi