
L’immancabile, prevedibile, lieto fine, l’ottimismo sulla ricongiunzione famigliare: per noi è decisamente troppo, per il pubblico americano troppo poco. Perché il quadro che ci fa Gabriele Muccino del mondo americano (non tanto quello che trapela dal film quanto quello che ci racconta a voce in una simpatica conversazione), delle aspettative e dei gusti del suo pubblico, fa davvero venire la pelle d’oca. Sembrerebbero stereotipi, ma la testimonianza viene da chi in America ha vissuto e lavorato, e sfornato film con cast di tutto rispetto, dall’iniziale sodalizio con Will Smith al nuovo “Quello che so sull’amore”, nelle sale italiane da questa settimana, che annovera nomi come Gerard Butler, Jessica Biel, Uma Thurman, Catherine Zeta-Jones, Dennis Quaid… E allora si capiscono tante cose, come il non virare mai sull’agrodolce o sul malinconico, evitare quell’amarezza dietro la scorza della commedia che da sempre rende speciale il nostro Cinema.
“Il pubblico che va a vedere una commedia in America non è preparato a un cambio di rotta, le commedie che virano verso il dramma, che da noi sono le più riuscite, non sono contemplate, quel Cinema è tipicamente nostro ma non viene esportato perché è incomprensibile: devi entrare al cinema con un sorriso e con un sorriso uscirne. Ho provato fino in fondo a manovrare la barca, ma questo piace solo in Europa. C’è anche una netta distinzione tra commedia romantica e commedia sentimentale, in fatto di generi sono molto rigidi. Un genere cinematografico ha un pubblico specifico, che non è reattivo e se non viene orientato subisce confusione in sala, si sente spiazzato. La commedia drammatica non è catalogata”.
Se le cose stanno così non c’è dunque da stupirsi che “Sette Anime”, il film di Muccino a nostro avviso più interessante, sia quello che ha riscosso meno consensi.
“La Ricerca della Felicità rientra invece in un genere ben preciso e inoltre è incentrato sulla tematica ‘dagli stracci alle ricchezze’ che piace molto; lì il pubblico trova soddisfatta l’aspettativa che si era creato. L’America sa essere una giostra entusiasmante, ma anche un’arena molto difficile”.
E si capiscono bene anche quei personaggi femminili che ruotano come falchi attorno al protagonista per poi abbandonarsi a crisi di nervi. Anche qui tutto vero, parola di Muccino.
“Ci sono molte donne che non aspettano altro che sedurre un uomo attraente. Quello che accade nella vita quotidiana a Gerard Butler supera l’immaginazione, le donne gli saltano addosso letteralmente – scherza inizialmente, ma, sotto, il quadro è più tragico – Abbiamo girato in Louisiana, un luogo privo di ogni stimolo culturale, dove davanti alle scuole pubbliche trovi i cartelli col simbolo con la pistola barrata per avvertire di non usare armi. E’ un’America di cui noi sappiamo molto poco e che spaventa chi ci vive lasciandolo in un perenne stato di nevrosi, i cui valori sono legati solo all’arricchimento e all’estetica e in cui devi essere eternamente giovane, bello e ricco o sei un perdente, e coi perdenti non c’è pietà. Questo contesto di noia e routine porta all’infelicità e all’infedeltà, per cui le donne che ho descritto non sono affatto fuori dalla realtà”.
E il calcio? Dove è nata l’idea di scegliere come protagonista un’ex star del calcio e parlare di uno sport che in America non è il più popolare?
“Inizialmente doveva essere su un campione di baseball, ma il baseball non è popolare nel resto del mondo così abbiamo scelto uno sport più internazionale. Ma quello che pensiamo del calcio in America in realtà è fermo ad alcuni anni fa. Ora è molto più popolare e soprattutto è uno sport di aggregazione famigliare, prediletto dai bambini. Viaggiando per l’America si scoprono molti piccoli campi di calcio ed è uno sport che aggrega più di altri”.
Del film abbiamo detto nella nostra recensione. In breve, è la storia di una ex star del calcio inglese che arriva in America dove vive la sua ex moglie per recuperare il rapporto con il figlio e si trova quindi ad allenare la squadra in cui il bambino gioca. Infantile, entusiasta e mai maturo è preso come oggetto del desiderio dalle varie madri, ma in realtà non si è mai tolto dalla testa l’ex moglie, in procinto di risposarsi, né lei ha dimenticato lui. La sfida, però, che deve veramente affrontare, è l’incontro con l’età adulta.
Cos’è l’età adulta per Gabriele Muccino?
“E’ quell’età indefinita in cui siamo capaci di non commettere più quei gesti di cui andremmo a pentirci. Gli errori perseverati diventano diabolici. Quello che ci lega ad un’eterna giovinezza prepara ad una terza età che può diventare triste.”
Un grande cast, si è detto. Come è stato scelto? E come è stato il rapporto?
“Il cast è partito con Gerard Butler, poi sono stati fatti dei provini a Jessica Biel per verificare l’alchimia tra i due e il resto del cast si è aggregato molto facilmente. Con ognuno di loro tornerei a lavorare come sogno di fare altri film con Will Smith. Un film con un cast misto tra attori italiani e attori americani è possibile, ma solo dove ci sia anche un contesto misto. Ma con ogni attore che ho incontrato il rapporto è stato bello, sia che si tratti di esordienti o di attori di carriera longeva come Dennis Quaid”.
Qualche cambiamento in vista in quest’America di cui ci ha tanto parlato?
“La rielezione di Obama è un segnale positivo. L’America è ancora un Paese profondamente razzista in cui, al di fuori di New York, è difficile trovare coppie miste. Avevo in progetto un film con Will Smith, che poi non ho diretto, in cui voleva Halle Berry come partner perché la comunità nera non accetta che un nero baci una bianca sullo schermo, e lo convinsi a fatica a scegliere invece Charlize Theron per rompere con queste cose. Per cui eleggere un Presidente di colore per ben due volte penso che sia stata una vera rivoluzione”.