L’educazione siberiana di Salvatores
28/02/2013
Un romanzo criminale che è anche un’educazione sentimentale. Un c’era una volta in Siberia carico di nostalgia per un mondo mai conosciuto. L’amicizia spezzata davanti all’irrompere del nuovo e del caos, che spazza via le tradizioni, le vecchie favole e tutto ciò che vi è ancorato, separando irrimediabilmente per strade diverse. Questo e molto altro sono il bellissimo libro di Nicolai Lilin e il bellissimo film che Gabriele Salvatores ne ha tratto, realizzando nella sua traduzione un’opera assai diversa, ma fedele nello spirito e ugualmente pregna di commozione.
“Nel libro c’erano moltissimi personaggi e aneddoti affascinanti – racconta Salvatores – ma non c’è una vera e propria storia. E’ vero, la Storia del Cinema è piena di film che non raccontano una vicenda ma una situazione, ma non è questo il mio stile, ho bisogno di seguire i personaggi in un percorso narrativo. La cosa che più mi ha colpito è che c’è un’educazione ‘sentimentale’ e anche un’educazione alla vita in un contesto marginalissimo, addirittura criminale, dove questi criminali dicevano cose come ‘un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare’, dicevano cose più condivisibili di quelle dette da tanti filosofi. Ecco, mi piaceva questo contrasto, il fatto di dover condividere delle cose messe in bocca a una persona che usa pistole e coltelli”.
Nicolai Lilin, che nel libro ha raccontato la propria infanzia e adolescenza all’interno di una comunità di “criminali onesti”, è il primo a dire di non aspettarsi di vedere il suo libro trasportato fedelmente “E’ stato come riscrivere da zero una storia, è stata creata una storia parallela che fa rivivere il mio libro. Ero terrorizzato a venderne i diritti cinematografici, mi tremavano le mani, ma poi ho capito che il cinema è un mezzo di comunicazione diverso e dovevo lasciar perdere tutte le mie arroganze di scrittore.”
“Cosa hai provato vedendo i personaggi che prendevano un volto?”
“E’ sempre impossibile ritrovare i volti che immaginiamo. Io ho scritto immaginando una cosa e chi legge ha un’altra immagine, ognuno ha il suo mondo. Sono stato contento degli attori, mi sono piaciute le facce, ma non mi sono mai chiesto se somigliassero”
“Cosa ti è piaciuto di più, alla fine, del film?”
“Nel film la cosa geniale sono le immagini. Nel mio lavoro conta la parola, in un film ci sono diversi metodi di comunicazione, la recitazione, la musica. Gabriele è stato geniale nell’inserire immagini che raccontano un’intera storia senza parole. La scena della giostra, ad esempio, è bellissima, mi sono commosso. Comunica gli stessi sentimenti, ma in maniera diretta, immediata”.
E’ con la forza delle immagini che Salvatores ci restituisce dunque il libro di Lilin (splendida, appunto, la scena della giostra sulla musica di David Bowie, mentre l’Occidente avanza veloce), in una narrazione a flash back, frammezzata dalle lezioni di Nonno Kuzja, con un afflato epico in cui si consuma l’amicizia e il tragico distacco tra Kolima e Gagarin, che si fronteggeranno come i due lupi della favola, per sublimarsi in un finale lirico.
E insieme una violenta nostalgia, una “ricerca del tempo perduto”.
“Io volevo soprattutto raccontare un mondo arcaico basato su regole e l’affetto per la vita che si faceva, per le mancanze. – prosegue Nicolai Lilin - Mi manca, ad esempio, quando si girava d’estate senza scarpe. Racconto la scomparsa di questo mondo, ho nostalgia di quell’Unione Sovietica che era casa nostra, per le vecchie regole. Le nuove regole spazzano via tutto, sono in realtà un’assenza di regole, la caduta del Muro è stata un’ondata che ha travolto tutto.”
Mauro Pagani, che ha scritto le musiche per il film (con gioia di Lilin che, ci dice, ha imparato l’italiano, oltre che sulle poesie, con le canzoni di De André), ha colto in pieno lo spirito che unisce libro e film “E’ una storia di sentimenti molto forti, inespressi, di un amore impossibile, di un’infanzia non vissuta, della nostalgia per un mondo mai visto né conosciuto. Questo è il vero legame tra libro e film”.
Nostalgie che per Salvatores si ricreano sull’immaginario di un Est letto e vagheggiato. “Il libro è un memoir dell’Autore, ma anche di cose che gli sono state raccontate, che fanno parte di una tradizione mitica più che realistica. Non vorrei paragonarmi ad uno dei registi italiani che amo di più, che è Sergio Leone, ma credo che il mio rapporto con questo Est sia stato simile a quello di Leone per gli Stati Uniti. Cioè un sogno, una visione di questo Est lontano che ultimamente è cambiato violentemente, ha subito il crollo del blocco comunista. Mi piaceva raccontare questo mondo che cambia, lontano da noi, immaginarlo come possiamo immaginarlo noi attraverso la lettura di Dostoevskij o di Tolstoj, o attraverso il Cinema Russo. Io l’ho ricreato sulla base di sguardi di altri, di racconti di altri, di sogni di altri. Quindi non ho avuto la pretesa di raccontare una storia realistica”.
“A proposito di Sergio Leone, si è definito questo libro il Romanzo Criminale siberiano, ma io nel film ho ritrovato soprattutto l’elegia di C’era una volta in America. Quanto hai pensato a questo grande film?”
“C’era una volta in America è proprio uno dei film che amo di più nella Storia del Cinema e sicuramente è depositato nella mia memoria e nel mio cuore. Ci sono indubbiamente molti punti di contatto (i due amici, la ragazza) che sono anche degli archetipi di molte storie criminali. Qualcosa è passato, non direttamente mentre si scriveva la sceneggiatura ma come suggestione”.
Bella anche la scelta dei giovani Arnas Fedaravičius e Vilius Tumalavičius nel ruolo di Kolima e Gagarin, a fianco di un carismatico mostro sacro come John Malkovich.
“Anche se la Lituania ha una grande tradizione teatrale è difficile trovare in Lituania attori diciannovenni d’esperienza. Quindi ho voluto cercare tra i non attori, anche perché mi piaceva il contrasto tra un attore importante che fa il maestro e dei ragazzi che non avevano mai recitato e ricreare lo stesso rapporto. Abbiamo visto quasi 400 persone, cercando non solamente il viso che corrispondeva al personaggio ma gente con carattere vicino al personaggio. Il ragazzo che interpreta Kolima studia filosofia e fa pugilato, può incarnare il tipo integerrimo e rispettoso delle regole, mentre l’altro ha passione per il canto lirico e sicuramente ha più tendenza all’autodistruzione e ha un’energia molto forte. Ho quindi lavorato sulle persone.”
I due ragazzi hanno i volti giusti per raccontare il passaggio della linea d’ombra nel caotico momento di un passaggio epocale. In un film che fa battere il cuore.
Gabriella Aguzzi