Gli Anni Felici di Daniele Luchetti

03/10/2013

“Quelli erano anni felici, peccato che nessuno di noi se ne sia accorto”.
Su questa frase si chiude il bel film di Daniele Luchetti, omaggio ai propri genitori e alla propria infanzia. Che il regista reinventa con una storia di passione tempestosa, di arte, di quegli anni, i Settanta, in cui tutto si muoveva e cambiava e si credeva di essere liberi e ne fa il suo personale amarcord in bilico tra ricordo e finzione, mescolandoli tra loro.
“Ho cominciato a pensarci 15 anni fa – dice Luchetti - ci sono tornato sopra 1000 volte con gli sceneggiatori, ma ai miei appunti iniziali mancava l’elemento principale: io e i miei genitori. Volevo arrivare ad un sentimento autentico attraverso un gioco di specchi”
“Qual’è stata la cosa più difficile nel raccontare comunque una storia così vicina? Vi sono stati momenti di imbarazzo?”
“La dissociazione, quando mia madre e mio fratello erano sul set. Mia madre non riusciva a staccarsi dall’idea che quelli eravamo noi, chiamava gli attori coi nostri nomi, ripeteva: ma io non faccio così. Io apparentemente ero distaccato, in uno stato di inconsapevolezza, era come se i personaggi girassero da soli la loro storia. E poi essere padre di mio padre, raccontarlo attraverso i difetti, i limiti, le debolezze è stato molto forte, sconvolgente”
“Racconti spesso di quegli anni attraverso storie famigliari...”
“Quando Mio Fratello è Figlio Unico è stato presentato in Israele è stato detto che per noi italiani il racconto della famiglia è quello che più ci rappresenta. Attraverso quel microcosmo raccontato e declinato infinite volte emerge un Paese e l’argomento è inesauribile. Ho voluto raccontare qualcosa che mi è caro, gli affetti, quell’epoca con i suoi conflitti, in cui accadeva tutto dal vivo, quelli che volevano cambiare il mondo attraverso l’arte e la politica. Ho anche voluto usare i mezzi tecnici dell’epoca, usare la macchina a mano come nello stile di Cassavetes”

A interpretare Guido, il padre, l’artista d’avanguardia (o che vorrebbe essere tale, tra una madre troppo critica e una moglie troppo adorante, cullato tuttavia dalla tranquillità di un mondo borghese, è Kim Rossi Stuart, mentre Serena, la madre dai mille volti, è Micaela Ramazzotti.
“Kim Rossi Stuart, cos’è per un attore interpretare un artista?”
“Per me è stata una novità avvicinarmi a quest’arte concettuale che non conoscevo e Daniele mi ha preparato ed è stato uno stimolo forte. Lo spunto di maggior divertimento e d’affetto nei confronti di questo personaggio è stato il suo voler adeguarsi a un modello di un certo tipo pur non avendone sulla carta i requisiti.”
“Sono Anni Settanta diversi da quelli di Vallanzasca...”
“Ogni scelta di un film ha una sua motivazione, a volte si tratta di un film imperdibile, a volte è il personaggio ad affascinarmi. E’ sempre uno sforzo avvicinare a noi un’epoca passata, renderla fruibile e mi sembra che il film ci riesca in pieno, toccando tematiche universali. C’è questa passionalità verso la cultura, questo confronto culturale che rimpiangiamo e c’è anche un aspetto intimo, umano, i comportamenti dell’animo, la crescita che sono tematiche svincolate da un’epoca”
“E com’è stato per Luchetti ricreare l’arte di quegli anni?”
“Sono cresciuto in quell’ambiente, ho visto modellare da quando sono nato, mio padre modellava in maniera classica e voleva fare l’artista d’avanguardia. Ma la tua memoria di bambino è molto personale e devi collocare le cose in un ambito culturale, quindi ho approfondito il tema”
C’è libertà creativa nel lavoro con gli attori?”
“Li lascio liberi di fare quello che voglio io. Voglio essere colto di sorpresa. Insegno regia e della recitazione faccio il centro del mio lavoro, ma quello che avviene sul set è legato al rapporto umano”
“Quando iniziato ho fatto una domanda a Daniele – dice Kim Rossi Stuart – Gli ho chiesto se aveva bisogno di un attore che si presentasse sgombro di strutture o con una preparazione e lui ha scelto un mix tra le due cose. Così mi sono sentito libero di creare. Volevo muovere il personaggio in una direzione quasi comica, a volte lui sposava l’idea, a volte mi chiedeva di meno. Io faccio sempre della sottrazione il mio cavallo di battaglia e per la prima volta mi sono trovato a dover cercare una cifra meno barocca di quella che avevo scelto”

“Daniele mi ha detto: cerca di variare sempre, perché Serena ha tante facce – racconta Micaela Ramazzotti – Serena è uno di quei personaggi che ti toccano dentro, ti smuovono e ti mettono anche un po’ paura perché sono pieni di sfaccettature. E’ tante donne diverse, inizia come devota ma gelosa dei successi del marito, con i figli è diversa, con la madre è diversa ancora, perché dentro non sa chi è. Lei e Guido hanno un rapporto infantile, litigano e fanno pace in maniera tempestosa per poi rilitigare, devono sempre accendere il loro rapporto. Daniele non voleva una donna leziosa ma una donna con una ferita nell’animo, sofferente, contradditoria, anche un po’ matta, perché è una che fa dei gesti eclatanti, ha coraggio, manda all’aria tutto. E’ una che non ride mai e ha sempre uno sguardo arrabbiato, è sospettosa e gelosa di tutto. Quindi ho cercato la durezza e di non aver paura di essere a volte anche sgradevole”.
“Com’è stato conoscere la madre del regista?”
“All’inizio eravamo tutt’e due sospettose l’una dell’altra e spaventate. Poi mi ha mostrato una foto sua e di Daniele in quegli anni e la riguardavo sempre prima di iniziare a girare. Tutto è partito dai suoi occhi per creare il personaggio, quel suo sguardo mi ha catturata”

Gabriella Aguzzi