Il fantastico via vai di Pieraccioni

13/12/2013

Pacioso, ottimista, senza troppe pretese  (“Io sono uno spargitore di divertimento, non uno che ambisce al David di Donatello”). Così gli è Leonardo Pieraccioni, che per le festività ci confeziona l'ennesima commedia dalla formula collaudata: tanto sentimento, un pizzico di amarezza e qualche sana risata.
“ Qualche volta mi piace spingere sul sentimentale, ma ridere fa sempre bene. Basta vedere gli incassi: chi va di più? Zalone, perché fa scompisciare. Io non ho il registro grottesco suo o di Totò, però so regalare un sorriso, e la gente al cinema va per divertirsi. Faccio quello che so fare. Quando ho girato “Il mio west” credevo d'aver fatto un capolavoro  e invece ho ancora le orecchie che mi rintronano dalle pernacchie, “Il ciclone” l'ho girato incrociando le dita e fa ancora successo. Questo film mi pare bellino, ma è sempre così con l'ultimo che si fa.”
La trama, dopo tanta promozione, è nota. Arnaldo Nardi è un marito tranquillo e soddisfatto, con giusto quella punta di rimpianto per la giovinezza perduta, e quando per un equivoco si trova cacciato da casa prende la palla al balzo per salire sulla “macchina del tempo” - andare a vivere con degli studenti ventenni, illudendosi di essere ancora come loro.
“C'è anche un po' la sindrome di bischeraggine di chi vuol fare il giovane e non lo è più. Come la scena del conto non pagato con fugone. Solo che a vent'anni riesci a farlo, a 50 ti è salito il colesterolo, rallenti e ti beccano: non c'è nessuno come uno di 20 anni per farti ricordare che ne hai il doppio. E che poi girando la scena ho fatto pure una figura cacina perché girandomi in corsa a fare il gesto dell'ombrello sono caduto!”
Sentendolo raccontare appare chiaro come un po' di Arnaldo Nardi si trovi nello stesso Pieraccioni, tanto che sembra inutile chiedere come gli è venuta questa idea...
Mi è sorta spontaneamente incontrando gli studenti universitari. Ogni tanto sono invitato nelle Aule Magne – si dice così? - a fare il mio cabaret e alla fine mi avvicinano per chiedere una firma, una foto... Lo fanno dandomi del lei”

Nella pellicola non c'è solo una sorta di “romantico tour” de I Laureati, ma una serie di omaggi e ritorni a tanti “luoghi comuni” del suo cinema, da Arezzo a Ceccherini.
“Arezzo è magnifica da filmare, con quei saliscendi, e poi è più realistico che io giri lì che a Venezia.  Quanto a Ceccherini e Panariello sono bravi a tenere i due registri. Un attore drammatico è difficile che sappia fare il comico – prendete De Niro, uno dei migliori al mondo, e poi quando fa la commedia fa tutte quelle faccette credendo che è così che si fa ridere – mentre i comici spesso hanno dei bei toni drammatici. Panariello però era in dubbio perché era fin troppo serio, sapevo che mi avrebbe chiamato ,“ti devo parlare”, e alla fine la sequenza buffa l'abbiamo inserita giusto per compiacerlo. Eppoi è sempre così: se metto una sudamericana tutti a dirmi “ancora la sudamericana?”, se non la metto “però ci sarebbe stata bene”; se metto Papaleo “ma reciti sempre con gli stessi?”, se non lo metto “però ci manca...”: alla fine faccio quello che mi viene facile e spontaneo...”
Un motivo per vedere un tuo film?
“Perché ancora mi ci diverto a farli. Quello che conta per me è la sincerità, e io nei miei film sono sincero. Quando mi vedo con gli amici non stiamo a raccontarci la nostra vita, cazzeggiamo. Ecco, io quando faccio un film è come se stessi al tavolo con gli amici. Quello che mi importa  è che alla fine del film chi esce si senta rilassato, che abbia passato un'ora e mezzo divertendosi”
Ma dei tuoi 20 anni cosa rimpiangi di più?
“La capacità di emozionarsi. Io i 20 anni li ricollego all'entusiastico ottimismo dell'inizio di carriera, quando ti buttavi a capofitto nelle cose. Mi mancano i batticuore professionali, ricordo ancora quando urlai letteralmente di gioia vedendo la fila davanti al cinema Manzoni per vedere I laureati. E anche quando le cose andavano male, quando ti saresti ucciso per un no: ma che belli quegli inutili batticuori”

Elena Aguzzi