Ozpetek chiede di allacciare le cinture
06/03/2014

“Ci sono persone troppo fragili (...) non resistono agli urti della vita, agli ostacoli, agli ammaccamenti, alle cadute” recita una delle pagini più belle e toccanti di “Rosso Istanbul”, il romanzo scritto da Ferzan Ozpetek. E proprio degli urti della vita, delle sue improvvise turbolenze, piccole o terribili che siano, e di come resistervi, ci parla “Allacciate le Cinture”, il suo ultimo, atteso film, da oggi nelle sale, che, come sempre accade nelle sue opere, commuove, palpita, ci fa sorridere e piangere e terminata la proiezione resta nei nostri pensieri.
“Dico sempre che nella vita capiterà a tutti a un certo momento di dover allacciare le cinture – spiega Ozpetek – Nel film ho voluto parlare di questa storia d’amore che dura nell’arco di 13 anni, ma il mio pensiero era soprattutto giocare sul tempo. Quando guardo una foto di quando ero più giovane non mi colpisce come ero diverso d’aspetto, ma la sensazione di come ero io e di che speranze avevo sulla vita, sulle cose”
E ancora viene da pensare a Rosso Istanbul, diario intimo di un passato che si ammanta di nostalgia con la sua folla di ricordi. C’è anche un episodio, raccontato in quel libro, che nel film uno dei personaggi racconta come suo (“Sì, è vero – sorride Ozpetek – era un episodio della mia vita”). E ci sono tutti i temi a lui più cari che tornano: l’amicizia, la perdita di chi ti è caro, i deliziosi ritratti di famiglia. “Sono motivi che tornano da soli, proprio perché ti sono cari, o è un discorso che vuoi proseguire?” gli chiedo.
“E’ veramente venuto tutto in modo molto naturale. Io racconto quello che sento, non riesco mai a fare una cosa ragionandovi, rimango sempre un amatoriale. Anche nella scrittura di questo libro (e sono felice che stia andando bene, in Turchia è diventato un best seller in 20 giorni) in cui c’è molto del mio mondo, così come c’è molto di me nei miei film. Io mescolo le cose perché racconto in qualche modo quello che conosco, quelle emozioni che sento io e che sente anche un certo tipo di spettatori, per cui c’è uno scambio, un filo conduttore con le persone che mi piace molto”.

Emozioni che si trasmettono, forti, con la dolcezza della nostalgia e la violenza del dolore improvviso. Il segreto del film sta proprio in questo suo sguardo verso il passato, come se ci si trovasse tra le mani una vecchia foto. E allora tutta la serenità delle prime scene, tutto il suo candore, il suo groviglio di piccole incomprensioni, i turbamenti, appaiono remoti e perduti. La regia di Ozpetek risolve magistralmente i due passaggi soffermandosi sul volto intenso della protagonista, una splendida Kasia Smutniak: la prima volta, proiettata come in un sogno, a rimirare il locale che gestirà e prenderà vita, facendo così un salto temporale di tredici anni, e la seconda, davanti a un mare che si è fatto tempestoso, a guardare indietro. Ed ecco che allora le scene finali, che tornano alla giovinezza dei protagonisti ricostruendo quel tassello che ci mancava, lasciano una sensazione agrodolce.
Più di una volta Ozpetek affida il racconto a meravigliosi primi piani (l’innamoramento, la notizia che sconvolgerà le vite dei protagonisti) e lo completa con dialoghi mai banali, deliziosamente perfetti, riuscendo a mantenere il sorriso. Costellandolo di piccoli personaggi splendidi come la zia che continua a reinventarsi (un’impagabile Elena Sofia Ricci) e la tenerissima compagna d’ospedale interpretata da Paola Minaccioni. E se il film è la storia di un doppio amore - la passione tra Elena e Antonio e l’amicizia tra Elena e Fabio – intorno a loro ci sono figure indimenticabili. Perché, come sempre accade nei film di Ozpetek, una storia è anche tante storie, che si intrecciano nel cammino della vita.

Resiste alle turbolenze della vita, opponendovisi con forza, la sua Elena, uno dei personaggi femminili più belli che il Cinema Italiano ci ha regalato e che Kasia Smutniak rende con intensità e calore. “E’ una donna che decide all’istante ed è più forte di tutte le persone che le stanno attorno perché non ha scelta, perché è una questione di sopravvivenza ed è questo l’aspetto di lei che mi piace di più – dice l’attrice – Interpretarla è stato per me un dono, un ruolo così nell’arco della vita di un’attrice potrebbe non arrivare mai, ed è difficile fare una scelta dopo un ruolo come questo”.
Innamorata del ragazzo della sua migliore amica (interpretato da un passionale Francesco Arca), Elena è convinta di disprezzarlo, ma ne è anche disperatamente attratta, finché la storia li sbalza in là di 13 anni, con le sue turbolenze in agguato.
Il film, girato in sequenza, ha coinvolto intensamente gli attori e la pausa di un mese, per consentire il cambiamento fisico, ha dettato quello stacco temporale che, come dicevamo, è uno dei cardini di Allacciate le Cinture. “Ci siamo visti diversi quando siamo tornati a Lecce -dice ancora la Smutniak – Quando abbiamo visto le foto del primo periodo ci sembrava di vedere foto di 15 anni prima e ci siamo sorpresi, come se questo cambiamento fosse avvenuto veramente”. Per arrivare, in un crescendo, alla delicata scena d’amore girata in ospedale “Ci siamo preparati mesi prima, abbiamo messo le nostre storie in questa storia per viverne le emozioni. Quando ho letto nella sceneggiatura la scena in ospedale pensavo che non sarebbe mai stata realmente girata. Poi Ferzan ci ha raccontato come la immaginava e ho capito che il suo lavoro va oltre un aspetto tecnico, che ci raccontava un pezzo della sua vita e ognuno di noi quell’emozione l’ha vissuta o era pronto per viverla. E’ la scena che racchiude l’essenza del film, è bellissima, commovente e molto tenera”.
Gabriella Aguzzi