Dino Abbrescia, da piccolo spacciatore a neurochirurgo

29/08/2008


Da piccolo spacciatore di provincia a neurochirurgo di fama mondiale. Dino Abbrescia – almeno in termini di ruoli cinematografici – in una decina d’anni di strada ne ha fatta tanta. Il ruolo da comprimario (un neurochirurgo, appunto) che ha nella fiction del regista Alessandro Piva – “Chirurgia d’urgenza” serie ospedaliera con Giorgio Pasotti, Camilla Filippi, Ivan Franek e Giulia Michelini, presto in onda su Mediaset – arriva dopo una lunga gavetta.
Anni di lavoro al teatro dell’Elfo di Milano prima del debutto al cinema in “La CapaGira” – film d’esordio dello stesso Piva - nei panni di Minuicchio, malavitoso barese alle prese con una storia dai tratti surreali. Era il 1999: Dino Abbrescia e il regista, entrambi baresi, erano pressoché due sconosciuti. Poi, per Abbrescia, tanta fiction e ruoli importanti con registi come Antonio Albanese, Sergio Rubini, Gabriele Salvatores, Davide Ferrario e Giovanni Veronesi. Per Piva un altro film, “Mio cognato”, e poi il silenzio. Fino ad oggi, quando il cerchio - a dieci anni esatti da “La CapaGira” - si chiude col ritorno della coppia Piva-Abbrescia. È la storia che si ripete: Dino Abbrescia è chiamato per la seconda volta a “benedire”, con la sua spontaneità, il nuovo esordio del regista, questa volta nella fiction televisiva. Ed infatti è stato proprio Piva a volere l’amico Abbrescia nel cast di “Chirurgia d’urgenza” «perché – è il regista stesso a dirlo – senza Dino fare questa fiction non sarebbe stato lo stesso».
Abbrescia sorride e conferma. «Tornare a lavorare con Alessandro è stato fantastico. Siamo un gruppo collaudatissimo, molto sciolti. Chi ci ha visto lavorare insieme non poteva fare a meno di notare il feeling. Infatti abbiamo cambiato, spostato, improvvisato. Abbiamo messo insieme i pezzi: spesso lui mi chiedeva consigli, molte scene le abbiamo discusse insieme. Certe cose le abbiamo fatte meglio rispetto ad altre su cui, per esigenze di tempo, bisognava lasciar correre. Il sacrificio che richiede la fiction è proprio quello di correre per portare a casa il minutaggio. Ma alla fine abbiamo fatto un ottimo lavoro».
Cos’è cambiato, in dieci anni, da “La CapaGira” a oggi?
«Tante cose. Prima tra tutte che un film così bello non l’ho più rifatto. È rimasto uguale, invece, il mio affetto per Alessandro: lavorerei con lui sempre».
Ma passiamo alla fiction. Quale sarà il suo ruolo in “Chirurgia d’urgenza”?
«Sarò un neurochirurgo: uno bravo, un luminare. Quello che chiamano nei casi più difficili. Ma sarò anche un uomo con dei sentimenti e una separazione in corso da una dottoressa che lavora anche lei nell’ospedale. Questo, per lo meno, all’inizio. Poi la trama si dipana in tutta una serie di “inciuci” interni all’ospedale, strani inneschi, corna, separazioni ma anche colpi di fulmine. Alcuni previsti dal copione e poi trasferitisi dal set alla vita reale. Ma su questo non dico di più».
Quindi, ci sarà da divertirsi.
«Speriamo. Certo, le avventure divertenti saranno inframmezzate da vicende umane tristi, quelle dei malati e dei loro famigliari che soffrono. L’aspetto più strettamente medico del mio ruolo mi ha appassionato. Spesso, tornato a casa, mi andavo a rivedere libri e manuali per capire meglio cosa avevo fatto sul set».
Sembra essere perfettamente a suo agio nei panni del medico.
«Sarei stato a mio agio in ogni caso. Il fatto è che questa cosa qua, io e Piva, l’abbiamo fatta proprio come la volevamo fare e per questo ci ha appassionato. Sono stato benissimo, mi sono divertito da morire. Magari con un altro regista sarei stato più sacrificato nel dire o fare certe cose che invece con Alessandro mi venivano spontanee. Poi si è creato un bel gruppo: con Giorgio Pasotti e Giulia Michelini passiamo le serate insieme. E quando ti va di vedere i colleghi anche dopo le riprese vuol dire che c’è qualcosa di più. Succede poche volte ma è  bellissimo».

Intervista ad Alessandro Piva

Valeria Blanco