Tom Courtenay, il ritorno del Long Distance Runner

25/11/2015

Un gentleman molto british che interrompe l’intervista per raccontare aneddoti o per mostrare sul cellulare le foto del cane del collega e amico Colin Firth o il video su youtube in cui, con umorismo tutto inglese, presenta il suo ultimo film “45 anni”, da questo mese nelle nostre sale, venendo scambiato per chi consegna le pizze a domicilio.  Così è Tom Courtenay, grande protagonista di quel free cinema britannico che ha lasciato un’impronta indelebile e di film come “Gioventù, amore e rabbia” (The Loneliness  of the long distance runner), “Billy il bugiardo”, “Per il re e per la patria”, “Il dottor Zivago”, “Servo di scena”.
Ma è il Teatro il grande amore e, racconta, al momento non si rendeva del conto del fermento cinematografico e di cosa avrebbe significato negli anni a venire quello che stavano creando.  “Ero molto giovane, e forse l’inesperienza ha portato più naturalezza. Il successo è stata una cosa enorme, inaspettata, ma anche un’arma a doppio taglio. Poi ho fatto ritorno a teatro”. Del Dottor Zivago ricorda le lunghissime attese dovute al clima avverso e la sua impazienza di tornare sul palcoscenico, di Servo di Scena l’incontro con Albert Finney. “E’ stato per me un enorme punto di riferimento e ne ho sentito l’influenza. Mi hanno sempre detto che ero sulle orme di Albert Finney, anche da giovane mi dicevano che lo ricordavo.”.

E non ha rimpianti per non aver scelto Hollywood. “Hollywood va bene per una passeggiata, non per stabilirsi. Il solo luogo in cui sono stato a lungo al di fuori dell’Inghilterra è New York, per il Teatro. A Los Angeles ho girato un film, ma ho subito sentito nostalgia di casa. Perfino a New York provavo nostalgia vedendo le foto dell’Italia, anche se non vi ero mai stato, perché mi facevano pensare all’Europa”.
Racconta del furto della Coppa Volpi, vinta a Venezia nel ’64 con “Per il Re e per la Patria” di Losey (“Il ladro però ha lasciato il piedestallo e si è portato via solo la Coppa”).  E non si pronuncia su nuovi nomi del panorama cinematografico.  “Vi sembrerà strano, ma in realtà vado poco al cinema. Mi piacciono i vecchi film in bianco e nero, ma quelli di oggi spesso mi deludono perché non tengono fino in fondo la tensione. In Inghilterra pensavano che fossi andato in pensione, ma come il Long Distance Runner dovevo solo ritrovare il fiato”

Quartet, Gambit, sul cui set nasce l’amicizia con Colin Firth (“Abbiamo riso moltissimo”), ed ora l’emozionante “45 anni” di Andrew Haigh, a fianco di Charlotte Rampling che gli aggiudica l’Orso d’Argento a Berlino. Due coniugi si apprestano a festeggiare il quarantacinquesimo anniversario quando giunge una notizia inattesa: è stato ritrovato tra i ghiacci il corpo della prima fidanzata dell’uomo. Mentre lui cerca di nascondere il proprio turbamento la moglie indaga nel passato fino a scoprire uno sconcertante segreto. “Quando ho letto la sceneggiatura l’ho subito sentito dentro e ho avvertito un’immediata empatia col personaggio. Mi è stato immediatamente chiaro, senza bisogno di discuterne. Del breve racconto all’origine del film è rimasto l’incipit con la notizia – ed è una scena di forte impatto – tutto il resto è opera del regista, che ha un suo stile ben definito. Non penso che il protagonista sia così tipicamente britannico perché i suoi sentimenti emergono anche se inizialmente li trattiene. Sa essere insieme sincero e manipolatore, perché spesso i sentimenti si confondono."

Gabriella Aguzzi