La Pazza Gioia di Paolo Virzì
09/06/2016

Tra “Thelma e Louise” e “Il Sorpasso”. Così si può definire l’ultimo film di Paolo Virzì “La pazza gioia”, fuga di due donne ricoverate per malattie mentali, l’una travolgente che ammanta di euforia il fallimento della propria vita, l’altra rinchiusa in un passato doloroso e trascinata nella folle corsa. Citazioni riconoscibili in un finale anacronistico e quasi fiabesco a bordo di una Lancia Appia, con un foulard che sventola e abiti che fanno apparire le due donne ancor più fuori tempo e fuori luogo, disadattate nel mondo esterno.
“Eppure a Thelma e Louise non ci avevamo pensato, vedete come siamo ingenui! C’erano invece tante altre citazioni, come Un Tram che si chiama desiderio” dice ridendo Virzì.
Il miglior Cinema italiano torna alla ribalta con lui e con due straordinarie interpreti, Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti. La Pazza Gioia si avvicina ad un tema delicato e grave con il tocco lieve della commedia e il sorriso dettato da una sceneggiatura ironica e scoppiettante.
“Mi avvicino alla fatica del vivere con commedie più o meno liete e beffarde, sempre con una dose di ironia, che non è derisione ma condivisione, un modo quasi liberatorio di affrontare le angosce, di riparare i torti concedendo il sorriso.”

Che tipo di approccio è stato fatto alla realtà descritta dietro la storia di queste due donne in fuga?
“Con Francesca Archibugi abbiamo voluto guardare la salute mentale con momenti fiabeschi e altri di tipo psichedelico e di delirio, perché dal punto di vista delle pazienti in astinenza di farmaci. Il disagio mentale riguarda il 40 per cento della popolazione, conviviamo un po’ tutti con un io matto. Purtroppo la risposta delle istituzioni non è incoraggiante e la nostra impressione di esploratori è stata sconfortante. Nel film raccontiamo tre occasioni: Villa Biondi, che è inventata, nella realtà è un podere abbandonato che assomigliava un po’ ad alcuni posti visitati perché fortunatamente esistono anche dei progetti riabilitativi, poi un normale reparto di psichiatria e infine un OPG, chiusi da una legge entrata in vigore proprio mentre stavamo girando. Non è un documentario di denuncia, è la storia di una relazione affettiva tra due pazienti diverse per background sociale e il desiderio di vivere ore di gioia anche sconclusionata. Perché se c’è una terapia questa è la relazione affettiva tra due persone”.

Racconta Micaela Ramazzotti “E’ stato liberatorio, di solito le proprie ombre uno se le tiene per sé, invece condividere le nostre paturnie è stato terapeutico, ci spogliavamo delle nostre paure. A contatto con la loro storia dolorosa ci siamo sentiti un po’ siamo tutti matti. A volte le coincidenze ti aiutano a superare una fase e il film è stato un grande abbraccio terapeutico. Quando parlo dei copioni di Virzì e di Francesca Archibugi mi viene da usare la parola romanzi. Perché la loro narrazione è piena di poesia. Ci sono stati dei momenti, quando abbiamo girato al crepuscolo sfrecciando sull’auto del Sorpasso, in cui sembrava davvero di stare all’interno di un romanzo. E abbiamo seguito le peripezie di queste due donne sbagliate che bisticciano, si abbracciano e si scoprono poco alla volta”.
La sapiente costruzione narrativa ce le svela gradualmente e intanto inserisce elementi gustosi come la villa tramutata in set cinematografico. “A volte è difficile mettere tutto in un’ora e mezza – dice Virzì – Ma ci siamo divertiti anche a prenderci un po’ in giro e fare dell’autoironia. Ci divertiva l’idea di questa famiglia aristocratica messa a tappeto per i guai della figlia e il pregiudizio verso il nostro Cinema. E così abbiamo introdotto una fuga proprio da film”.
Gabriella Aguzzi