Fai bei Sogni

09/11/2016

Molto separa l’ultimo film di Marco Bellocchio “Fai bei Sogni” dal suo folgorante esordio con “I Pugni in Tasca”, ma tra un film e l’altro, e lungo tutta la sua carriera, corre come un fil rouge che unisce tematiche comuni. “In questo film c’è un dolore in diretta – racconta il regista – nel primo c’è l’odio, la rabbia, altri sentimenti, direi che, anzi, c’è un’assenza di dolore. Con Fai bei Sogni si affrontano sentimenti che là erano assenti. Certo c’è la figura della madre che ricorre sempre, in un rapporto mortale con il figlio”.
Fai bei Sogni, tratto dal bel romanzo di Massimo Gramellini, segue il protagonista nel corso degli anni, oppresso dall’ombra di un lutto che lo ha segnato profondamente, la perdita dell’amatissima madre dal cui dolore ha cercato di difendersi fino ad arrivare ad un’assenza di emozioni che lo distacca dal mondo. Nascosto dietro uno scudo per la paura di altre ferite, arriverà infine a scoprire una verità negata.
Sullo sfondo della storia di Massimo, accompagnato dal dolore costante di questo abbandono e da una freddezza crescente, scorre la storia dell’Italia. Bellocchio sottolinea il mutare dei decenni con pochi tocchi efficaci e suggestivi: le canzoni, la cronaca, il Torino, i programmi televisivi (particolarmente significativo il richiamo a Belfagor).
“E’ una storia personalissima, però, per il mio modo di immaginare, non riesco a rimuoverla dalla Storia, dal dove e quando avvengono queste vicende. Il repertorio musicale è un modo impetuoso ed efficacissimo di restituire per pochi secondi una storia italiana e il repertorio televisivo per collocare sobriamente i personaggi nella giusta epoca”

Valerio Mastandrea, straordinario come sempre, interpreta Massimo nel terzo segmento della vita mostrata sullo schermo (i bambini Nicolò Cabras e Dario Delpero sono Massimo nelle età precedenti). Per sua scelta non ha letto il libro di Gramellini, in modo da dare con maggiore libertà al protagonista una sua personale immagine, che risulta profondamente sofferta e più che mai intensa.
“Anche in personaggi a me lontanissimi ho sempre pescato da me stesso senza rendermi conto. In questo film invece mi rendevo veramente conto e mi sono emozionato realmente osservando come la sofferenza trasformasse questo personaggio. Questa consapevolezza ha reso la sua storia molto vicina alla mia e, nonostante io e Gramellini fossimo quasi opposti, mi riguardava moltissimo – ci dice Mastandrea – Non ho voluto leggere il libro perché volevo cercare questo personaggio interpretandolo da zero. E’ uno che si protegge dalla vita, ma arriva il momento in cui la pentola esplode e deve scegliere tra stare meglio o farsi travolgere. Nonostante il dolore sia devastante è un film molto vitale”.
Bellocchio, per contro, ha sentito la necessità di documentarsi e incontrare lo scrittore (“Ho visitato la sua casa che è stata ricostruita in teatro”), anche se il film vive di un’anima propria, nei toni, negli umori, nei contrasti. “Tante cose che sono nel film esistono nel libro, ma sono trattate in modo diverso”.
Fino a far emergere una verità che forse il protagonista ha sempre saputo. “La cosa che più ci fa paura è soffrire – prosegue Mastandrea – e per questo il protagonista si è molto nascosto la verità e ha evitato il contatto con le emozioni. Perché con le emozioni la sofferenza la incontri e se sei in contatto con la parte più emozionale di te soffri ma cogli anche l’essenza di molte cose. Da adulto quest’uomo pensa di aver messo uno scudo antimissile alla vita, ma si ritrova a fare i conti con il presente e quando esplode l’attacco di panico deve scegliere se capire cosa non va o continuare a fingere di non capire”.

Gabriella Aguzzi