
"L'Amore non si trova mai là dove ce l'aspettiamo, e quindi ci sorprende sempre". Davvero un interessante inizio per una conferenza stampa. Molte le domande e non brevi le risposte. Tra le prime, la più interessante riguarda la mancata candidatura all'Oscar del film. Forse, perché politically uncorrect? Troppo.. "trumpiano" per gli antitrumpisti doc che monopolizzano la fabbrica dei sogni di Los Angeles? Troppo eversivo per gli americani, con le sue torbide atmosfere masochist and rapist? In fondo si è trattato di descrivere in modo diverso l'eterna transizione da vittima al godimento sadomaso. "Dato che non sono riuscito a trovare un'attrice americana disposta a farlo, devo dedurre che si tratti di un fatto politico". Forse, qualcosa di molto simile, di sicuro.
Paul Verhoeven attribuisce grande importanza al fatto che, dal suo punto di vista, "Life is not gendre". Cioè, che la vita vera non si fa ingessare in questioni di genere: fiction; biopic; etc.. E il film vuole ravvivare l'ironia presente nel romanzo. Ne consegue, ad esempio, che scene ipertrash si alternino a interni ultraborghesi, da social e da relashionship group, soprattutto nei lussuosi arredi, nelle cene, nei pranzi conviviali e nelle feste. "Non volevo fare né un thriller, né un noir e tantomeno perseguire o assecondare un genere cinematografico", conferma il regista. Già. Perché l'identità dello stupratore è chiara sin dal primo tempo (simbolico) del film. Il lavoro più incisivo e di contenuto, quindi, è dato dall'importanza attribuita ai rapporti della protagonista Michèle con il suo entourage. "La vita reale è questa: non è questione di genere letterario o cinematografico e non ha niente a che vedere con le mode e le caratterizzazioni così care al cinema stereotipizzato".
Verhoeven confessa di non avere alcuna particolare predilezione per femmine border line, tormentate e perverse. Il film, infatti, vuole parlare di Donne in generale: Elle è una donna normale che cerca di sopravvivere anche se lambita dalle fiamme dell'Inferno. Il dramma infantile l'ha forgiata come figlia di un serial killer. Ma lei nega a sé stessa il ruolo di vittima: tant'è vero che raccontando ai suoi amici più intimi (il suo ex marito, l'amica del cuore e il marito di lei) dice loro di "credere di essere stata violentata". Michèle non è né una squilibrata né una persona tormentata. Piuttosto, una che ama il suo nemico come ama il suo vicino. Certo, ci si domanda se il film non sia un po' troppo biasè verso la tesi che le donne siano vincenti e gli uomini disagiati e cretini. È, forse, una costante del libro assegnare questo ruolo negativo agli uomini? E sì, è così a quanto pare. Anche lì, in conclusione, le due più care amiche, rivali in amore, andranno a vivere assieme senza uomini tra i piedi.
Secondo Verhoeven, in Europa c'è molta più libertà per fare film di un certo tipo. Vedi Trump. In precedenza, la Huppert si era già mostrata molto interessata al progetto. Quando il produttore Said Ben Said propose al regista una sceneggiatura in inglese, in America non si trovarono interpreti per quel ruolo troppo controverso e problematico: quindi, si è dovuti ripiegare su Parigi e tornare con il cappello in mano dalla Huppert, la quale ha accettato tutto quello che era previsto nella sceneggiatura ritradotta in francese. Altra osservazione arrivata dalla conferenza stampa ha riguardato la scelta di fare della protagonista un manager di successo nei videogames, approfondendo gli aspetti relativi a quel tipo di industria, in cui il regista appare indossare i vari generi come maschera. Come nasce l'idea?
Sì, risponde Verhoeven, in effetti la manager di videogiochi è un'invenzione della sceneggiatura, perché quella descritta nel libro è una donna di successo come art director per l'editing e la supervisione delle sceneggiature. Ovvero, un ambience un po' troppo complicato da rendere in una filmografia che intenda in modo molto dinamico mettere tutti intorno al tavolo. Obiettivo raggiunto, invece, inquadrando con la macchina da presa in movimento la sala di prova dei videogiochi, assai più coinvolgente e interattiva. Il tutto, copiato dal vivo, in quanto i videogames del film sono stati effettivamente acquistati da società specializzate nella produzione di quel tipo di componenti software.
Infine, qualche questione etica, dato che il film descrive un modello antiborghese e, in buona sostanza, amorale. Come si è evoluta l'immagine della donna, dagli anni 60 a oggi? Verhoeven, però, evita accuratamente di rimanere intrappolato, asserendo che "le persone comuni non sono in primo luogo morali, ma legati da relazioni tra di loro". Il suo prossimo film? Un racconto, ambientato nel Medio Evo, che parla di due suore. I biopic su Gesù e su Hitler, invece, sono di là da venire.
La Recensione del film