
Il Festival del Cinema Africano, d’Asia e dell’America Latina, tenutosi a Milano dal 19 al 26 Marzo, ha chiuso in grande stile con un ospite d’eccezione: Willem Dafoe. L’attore ha portato non solo un pezzo di Storia del Cinema, con i ricordi che evoca in tutti i cinefili, ma anche un momento di commozione parlando di Héctor Babenco, di cui il Festival ha presentato l’ultimo film, My Hindu Friend, e di cui Dafoe sullo schermo è stato l’alter ego. Nel film Babenco infatti racconta il ritorno alla vita di un regista frenato per anni dalla malattia: in parte la sua personale storia, in parte un insieme di suggestioni e una dichiarazione d’amore per il Cinema. E se dice che “non ci sarà più un Federico Fellini” un poco Fellini vuole essere in questo suo testamento spirituale carico di citazioni, di sofferenza, ma anche di leggerezza.
“Mi era stato proposto, al momento di leggere lo script, come una storia particolare in cui sembrava che il protagonista fosse morto e poi ritornato. La difficoltà, infatti, non è stata tanto interpretare la malattia quanto l’imparare a vivere di nuovo. Quello che immagino Babenco volesse dire era il suo amore per il Cinema e per la vita e come, dopo la malattia, tutto prenda la tinta di quello che si è vissuto.”
Un grosso fardello interpretare una proiezione del regista in un film semiautobiografico e in un momento difficile della sua vita. Willem Dafoe racconta come ha vissuto quest’intensa esperienza.
“Babenco prendeva spunto dalla sua vita reale, ma voleva sempre essere sorpreso. Quando gli ponevo delle domande rispondeva: non lo so, sei tu Diego, fai come senti. Così spingeva me a sorprenderlo, era uno scambio reciproco. Il film era un mix di spunti della sua vita reale e di cose totalmente inventate ed è stato un piacere essere parte di questo”.
La conoscenza tra Willem Dafoe e Héctor Babenco risale all’88, quando l’attore era a Venezia con L’Ultima Tentazione di Cristo e il regista era in Giuria. I ricordi dei giorni sul set sono piacevoli, sereni.
“Quando sceglievamo i costumi era come andare insieme a fare shopping. Era molto energico e il suo atteggiamento era un continuo avvicinarsi e allontanarsi: quando gli sembrava che la storia stesse diventando troppo cupa diceva: basta, sono stanco. E subito inseriva un elemento di commedia”.
Filo conduttore dei suoi film è il racconto. La narrazione che ha il potere magico di creare un legame tra personaggi diversi. Era così con lo struggente Il Bacio della Donna Ragno ed è così anche con My Hindu Friend quando il protagonista diviene amico, in ospedale, di un bambino indiano che lo spinge alla guarigione.
“Una delle grandi ossessioni di Héctor era raccontare storie e come il raccontare possa aiutare. Era una sua caratteristica accomunare persone diverse che normalmente non starebbero insieme e unirle in una dipendenza reciproca. Perché scambiarsi storie è ricordarsi della nostra umanità”.