Stanley Tucci ci ha presentato il suo, bellissimo, “Final Portrait”, ritratto del lavoro di Alberto Giacometti e del suo rapporto con James Lord, modello per un ritratto che avrebbe dovuto durare poche ore e si protrae per 18 giorni, tra ripensamenti, crisi e picchi creativi. Non un bio pic, ma l'analisi di un'anima e dell'arte, con l'interpretazione straordinaria di Geoffrey Rush e Armie Hammer
L'infinito nel non finito. Perché la cosa finita, a causa della sua rigidità materica, perde le sue infinite potenzialità evolutive. Mentre la creta umida no. Come la tela: basta stendere un velo spesso di biacca sull'imperfezione presunta, per sovrapporre sul bianco un nuovo colore, un altro tratto insoddisfatto. Così, ciò che è perennemente in gestazione e mai concluso ha in nuce infinite soluzioni. In particolare, quelle impresse dalle mani di Alberto Giacometti eternamente irrequiete e insoddisfatte di chi non conosce né notti, né albe di sonno; torturato, divorato fin nelle viscere dal suo eterno rivale, l'Io interiore, per cui tutto può essere compiuto, ma nulla sarà mai perfetto. Poi, il rapporto umanissimo di lui con il suo modello James Lord, scrittore americano e appassionato d’arte, nel 1964 di passaggio a Parigi, forse il più penetrante e autentico dei biografi di Giacometti che, essendo suo amico, gli propone di posare per lui. Le sedute continuano interminabili per diciotto pomeriggi. Durante le pose, Giacometti parla, va, viene, si dispera, intravede qualcosa. Tornando nella sua casa parigina, Lord annota ogni conversazione. Durante ogni posa il ritratto prende forma per perderla l’indomani: ogni giorno un ritratto va perduto sotto al pennello.
Ma Lord quotidianamente lo fotografa. Il libro contiene così 18 conversazioni e 18 ritratti, fermati dalla fotografia, ma spariti dalla tela, così come le parole di Giacometti sarebbero sparite nello svenamento quotidiano delle giornate, se Lord non le avesse fermate. Il film è, come il libro, un documento unico che ci restituisce la vita quotidiana di un grandissimo artista, la sua parola, il processo intimo della pittura. Grandissimi Geoffrey Rush e Armie Hammer nei due ruoli protagonisti di Alberto e James, rispettivamente. Dalla successiva conferenza stampa, alla sola presenza del regista Stanley Tucci, emergono aspetti e tratti ancora più interessanti della semplice visione del film, già di per se straordinaria. Prima cosa in assoluto: la definizione del genere per.. esclusione. Non si tratta di una banale biopic sull’avventurosa mente di dell'artista, poiché la biografia che ne traccia James Lord, un vero dandy del 1964, risente fino in fondo della cultura esistenzialista di Sartre, amico di Giacometti, restituendo un mondo che con Alberto sta per scomparire, mentre il futuro è appena illuminato dalla luce della sua piccola ma intensa e brillante lanterna creativa, con un panorama artistico che di lì a poco si aprirà alle icone acide dell'americano Andy Warol.
Per Tucci, il film non intende veicolare un giudizio preformato, perché il suo significato sta nel racconto stesso. La forza e la carica espressiva relativa consiste nell'essersi concentrati su di un episodio ristretto, poiché il dettaglio ci dà quanto di meglio si possa pensare sulla restituzione del quadro esistenziale di una persona. A chi gli chiede perché non abbia pensato al ruolo di regista attore, Stanley risponde alla luce dell'esperienza: dirigere se stessi è uno sforzo enorme e, certamente, il film ne avrebbe sofferto. Il suo rapporto con l'arte contemporanea? Buon sangue non mente: suo padre era insegnante e artista allo stesso tempo. Bastava osservarlo nel suo processo creativo a portata di mano, quotidianamente. Poi, il viaggio in Italia la fonte suprema di arte classica e rinascimentale, che fa da coagulante interiore con il sentimento dell'arte che respiri nell’ambiente familiare, informando così il gusto estetico di ciò che intendi fare. E Tucci ha studiato disegno, in primo luogo. Così, attraverso il personaggio tormentato di Giacometti ha provato a esprimere ed esaltare il processo anche molto sofferto ("Fuck" impreca di continuo Alberto, interrompendo inopinatamente il suo lavoro al cavalletto!) della creazione artistica, con tutte le gioie e i dolori del compositore.
Così l'opera ha comportato un enorme lavoro preliminare di ricerca. Tutto il cast ha provato un'intera settimana come si farebbe con uno spettacolo teatrale, perché si voleva far coincidere la fisicità dell’esercizio artistico con il momento dell'ispirazione. Filmare e introiettare la dinamica di come si padroneggia pennello: così la macchina da presa era sempre in continuo movimento e continuava a riprendere Rush per documentare (o rubare) battute a quella sua recitazione innata. Esiste o meno un rapporto sadico tra Giacometti e il suo modello, distinto nei due modi di vivere l'artista puro, da un lato, e l'intellettuale borghese dall’altro? Ovvio che il sadomasochismo sia un po' sempre latente nei rapporti di amicizia intensi. Il modello Giacometti è quello di colui che di primo acchito si fa trovare molto affabile, per poi immergersi con voluttà nei suoi momenti di depressione, senza nascondere nulla dei relativi accessi d'ira. Anche se Alberto tendeva a contenersi un pochino di più con i giovani. Perché, in fondo, fa parte di ogni artista nutrirsi delle proprie nevrosi, ansie e insoddisfazioni. Tucci stesso ha solo accarezzato l’idea di non mostrare mai il ritratto di James, in quanto gli interessava come un artista si misurasse con la propria arte e, quindi, il processo creativo in se. Dare, cioè attraverso l'impressione della follia la sensazione del sentimento frustrato di voler andare oltre l'Attuale, verso un mondo che ancora non c’è, tratteggiando la capacità dell’artista di vedere il futuro.
Raccontare una storia come la si vede, dopo essersi fermati per otto anni dopo i primi tre film. Non è facile trovare denaro, in fondo, per una produzione indipendente. Come attore Stanley ha recitato in film di cassetta come Blockbuster per pura sopravvivenza. Anche se le grosse produzioni permettono sempre di apprendere qualcosa di utile! Così, Giacometti incarna con tutta la sua anima un'etica di devozione al lavoro che non corrisponde a una morale significativa: lui resta un bambino che si è attorniato di moglie e fratelli affinché gli consentissero di rimanere in quel suo lato infantile. Alberto era molto generoso nei confronti di tutti, amici e amanti, perfino prosseneti. Lo spettatore appare così, come un ospite che gira liberamente per lo studio dell'artista, caotico e disordinato all'inverosimile. Lo sostiene, in questo suo affacciarsi indiscreto, l'utilizzo sistematico della camera a spalla, assolutamente voluto perché da dinamicità a due persone sedute, studiando bene le condizioni di illuminazione a seconda dell’ora del giorno della ripresa. Al crepuscolo occorreva rimettere in fase le luci previste dal piano della lavorazione, guadagnando così in spontaneità nella rappresentazione. Le sculture di Giacometti appaiono allora come debbono essere: fuori dal tempo. Valide nella preistoria come ai tempi moderni. Così da esprimere al meglio la vera condizione umana!