Presentato Il Nome della Rosa

01/03/2019

Tutti per uno e tutti per.. la Rai! Esattamente come accade nella difesa dei marchi dell’alta moda italiani. Alla presenza di un parterre stampa e media delle grandi occasioni, affiancati da un cast prestigioso, i nuovi vertici di Viale Mazzini hanno presentato la punta di diamante relativa alla loro idea di rinnovamento generazionale: "Il Nome della Rosa", serial televisivo recitato in lingua inglese e diviso in quattro parti di due ore l'una circa, che andrà in onda in prima serata per quattro lunedì consecutivi, a partire dal 4 marzo. Per l'occasione, nella più che raccolta Sala degli Arazzi, è stata proiettata la Prima Parte in cui tutto ha inizio. Marcello Foa e Fabrizio Salini (rispettivamente, Presidente e Direttore Generale) hanno evidenziato come questa iniziativa di lungo respiro punti a richiamare l'attenzione del pubblico televisivo delle grandi occasioni, con particolare riguardo ai giovanissimi, attratti da questo tema intergenerazionale e, forse, immortale sui rischi della conoscenza. Da trattare, insomma, al pari di una moderna Divina Commedia da portare in giro per il mondo, imitando lo spettacolo circense itinerante di una volta per tornare a esibirlo sui mercati virtuali internazionali delle fiction. E se le premesse sono queste, allora non vi è nessun dubbio che Eleonora Andreatta, direttrice di RaiFiction, abbia tutto il diritto di rivendicare come questo prodotto della tv pubblica sia "un passo chiaro e forte in direzione di una produzione Rai competitiva a livello internazionale, chiamata a rappresentare nel mondo la parte migliore della cultura e del patrimonio letterario nazionale". E le prevendite della serie (avvenute addirittura nelle fasi di sviluppo del filmato e non al momento del prodotto finito) in Inghilterra, America, Germania, etc., abbiano dato fin da ora ragione alla politica innovativa dell'Azienda.

E, a tal fine, osserva  l'Andreatta, il capolavoro di Umberto Eco, che ha venduto finora ben cinque milioni di copie, costituisce un ottimo spunto di partenza. Infatti, grazie alla sua complessità, il racconto si presta bene alla rappresentazione e dimensione seriale, essendo quella più adatta a raccogliere la sfida del transfert in immagini del capolavoro di Eco. Si è quindi ricercata con metodo, riferendosi al testo, la giusta misura per tenere assieme in un unico ensemble i suoi contenuti enciclopedici, la forte densità culturale e le tematiche attualissime come la tolleranza, nonché l’importanza della conoscenza e dei saperi. Le tecniche di ripresa, con limitati effetti speciali, l'ottima recitazione e le straordinarie riprese di primi piani e interni nelle ricostruzioni sia in "studios" (tra l'altro, quelli di Cinecittà, che restituiscono nel simbolico una forza impressionante alla rivitalizzazione dell'immagine della produzione televisiva italiana nel resto del mondo!), sia in esterna, mettono in risalto la maestria della regia e, come è stato testimoniato da più componenti del cast, l'interazione costruttiva tra tutti i soggetti attivi, come attori, sceneggiatori e autori.

Molto interessante, a mio avviso, lo spazio che è stato assicurato nella prima puntata a ricostruire con una certa rigorosità il contesto storico dell'epoca, relativo al contrasto tra papato avignonese e Re di Francia che, con una certa lungimiranza (del resto, al momento di dare l'incarico a Guglielmo, il barone guerriero, padre del suo giovane discepolo Adso da Melk, decreta che "la religione 'è' politica", vedi Iran di Khomeini!) trova nel frate francescano di origine inglese, Guglielmo da Baskerville, una sorta di grimaldello teorico per minare dall'interno una chiesa corrotta e fortemente secolarizzata, nominandolo come suo rappresentante nella disfida teologica che oppone il resto del clero ai seguaci di S. Francesco. Argomento della contesa: la reale condizione di povertà assoluta del Redentore della cristianità. Il che, per l'epoca, non rappresentava affatto un elemento dialettico secondario, come si può ben capire: se la disputa fosse stata vinta dai francescani, la Chiesa medioevale sarebbe stata terremota dalle sue fondamenta e obbligata all'abbandono radicale del suo lusso sfrenato e della passione viscerale per il potere temporale, che abitava soprattutto le alte e medie gerarchie!

Così come altrettanto interessante è l'approfondimento, romanzato e anche un po' "feuilleton", sulla storia dell'eresia dolciniana dei frati guerrieri (cari a Eco, che aveva raccomandato alla produzione di "non trattarli male", nel corso della relativa dinamica lunga e complessa sulla cessione dei diritti d'autore!) che lottarono con le armi per la liberazione dei popoli oppressi, introducendo istituti libertari rivoluzionari nei costumi morali e sessuali dell'epoca di assoluta avanguardia rispetto a oggi: quindi, eretici pericolosi da sterminare armi in pugno per la difesa dei poteri clericali di quel periodo storico. Bellissima è l'immagine di Frate Remigio, uno dei leader dolciniani, rifugiatosi nell'abbazia assieme al suo sodale Salvatore, quando nel fare la carità a un popolo dolente di straccioni in fila per una monetina, sente il passato scorrere come una potente droga nelle sue vene e rivive ubriacandosi quelle scene perdute di lotta e d'amore. Produzione e regia ci specificano che, se l’inizio della serie assomiglia a un thriller gotico estremamente avvolgente, nel seguito l'opera si distingue per i significati sottili della trama e dei personaggi. L'accenno poi alla defatigante trattativa con l'Autore, per la cessione dei diritti dell'opera a beneficio del progetto, è altrettanto interessante. Così tutta l'attenzione nella realizzazione è stata posta nel dare il più ampio risalto possibile a un prodotto radicalmente italiano nella sua genesi, girato per di più in stabilimenti come quelli di Cinecittà che, come si è detto, sono un monumento alla produzione cinematografica nazionale.

Il prodotto finale è il risultato del sacrificio e dell’entusiasmo di tante persone che hanno lavorato dietro la macchina da presa durante le riprese, compresi gli stessi attori che si sono lasciati coinvolgere nella realizzazione delle varie scene, come è stato il caso di Turturro che ha saputo dare grande aderenza a Fra' Guglielmo di Eco, contribuendo alla scrittura dei dialoghi. La regia ha dato inoltre molto spazio alle citazioni “alte” dell’epoca, approfondendo con un'attenta metodica pregi e difetti dei personaggi, in modo da costruire una macchina seriale colta e adulta. Per Teresa De Santis, direttrice di Raiuno, la sinergia con l’Autore deriva anche dalla circostanza per cui lo stesso Eco ha lavorato in passato per l'Emittente pubblica, entrando a far parte del “Gruppo di corsari” al quale era stato assegnato il compito di reinventare la Rai, lasciandosi alle spalle l’eredità (bernabeiana, NdR) del passato. Per la realizzazione della fiction la Rai si è avvalsa di due case esterne di produzione: come ci dice uno dei produttori, la cosa più complicata senza dubbio è stata ottenere i diritti d’autore da Umberto Eco in persona. Così si è reso necessario impegnarsi a fondo affinché si realizzasse un controllo editoriale molto forte da parte italiana. Il che ha reso tutto il percorso assai faticoso. Ed è stata proprio questa partnership ad aver portato molto fortuna alla qualità e alle vendite del prodotto, con cui si è dato grande risalto al livello qualitativo della fiction italiana.

Altre testimonianze in diretta da parte del cast  ci raccontano di "uno strano Prof. che girava per l’università di Bologna: Lui apriva la testa alla gente. Quindi, partire dal libro è un atto fondamentale per capire la complessità  di quel suo ragionare e per aprire la testa al resto del mondo!”. Per il regista Battiato il vero miracolo de “Il Nome della Rosa” è il fatto di essere sopravvissuto alla realizzazione del film! Del resto, non era semplice spiegare in immagini un grande libro nelle cui pagine sono racchiusi un po’ tutti i problemi del mondo! Fortunatamente, osserva "mi sono avvalso di attori bravissimi, con particolare riferimento agli interpreti italiani che hanno rappresentato un grande valore aggiunto nel conseguimento del risultato finale. Ma anche Damian (Hardung, che interpreta Adso da Melk, NdR) è stato strepitoso!" Andrea Porporati, lo sceneggiatore, racconta di aver conosciuto Umberto Eco e come la cosa che lo ha più affascinato del personaggio dell'assassino sia stata il suo movente: uccidere per evitare che si riscoprisse, in quell'atmosfera tanto austera e rigida della forma chiusa monasteriale, l’arte del vivere in allegria, coltivando l’umorismo e l’ironia. Eco, ci dice, "era una persona molto divertente che chiedeva a tutti di essere divertenti. Occorreva far diventare un altro mondo le 500 pagine, insegnando che bisogna continuare a ridere di tutto".

Per Turturro, "ci voleva proprio un regista italiano per scoprire un inglese come me!". Confessa di aver letto il libro soltanto dopo che gli era pervenuta la sceneggiatura e di non aver mai visto il film originale con Sean Connery. Per lui, il romanzo di Eco è "un mondo che contiene elementi estremamente attuali". Lo ha colpito, in particolare, la capacità di tutto il cast di affrontare dialoghi molto complessi e si è dichiarato commosso per la grandiosa riuscita del progetto, frutto di un lavoro autenticamente corale. Nel libro di Eco, sostiene Turturro, c'è veramente di tutto: filosofia, religione e scienza. Il tentativo è stato pertanto di "inserire nella serie quanto più Eco fosse possibile" per dare il dovuto risalto e efficacia alla sceneggiatura. Perché, poi, è sempre vero che "la conoscenza ti protegge dal potere!". Bentivoglio, che interpreta Frate Remigio, l'eretico dolciniano, si è dichiarato ben felice di essersi esercitato in un ruolo che ha aggiunto così tanto alla sua esperienza di attore, offrendogli la possibilità di andare oltre i propri limiti. "E io ho davvero provato a esserci vicino a Turturro!". Per Stefano Fresi, è sempre un errore da non fare quello di confinare l’attore in ruoli ingessati. "Qui, mi chiedo: dove finisce l’animale e inizia l’uomo?". L'intervento in assoluto più divertente, però, lo ha fatto Roberto Herlitzka che, secondo il regista, "è stato una salvezza per tutti noi!", al quale è davvero piaciuto molto recitare in inglese: "perché se riesco a dire una battuta in quella lingua ne sono felicissimo! Non capisco una parola quando parlano loro! Durante le riprese, ho scambiato solo smorfie simpatiche con Turturro!".

Anche Battiato ha condiviso come sia complicato, per chi non è madrelingua, stare dietro al ritmo della recitazione. "Herlitzka è stato strepitoso: gli altri non sapevano che lui non sapesse l’inglese. Ero strabiliato per come Roberto lavorava alla battuta in quella lingua straniera!". E anche Turturro (di cui, tra l'altro, ricorreva il compleanno il giorno stesso della presentazione!) ha convenuto come sia: "una sfida gigantesca e molto difficile essere ironico in un lingua che non sia la tua!" e, soprattutto, aggiungerei, non avendo più l'età di chi "mangia le mele!". Greta Scarano, che interpreta la povera Margherita torturata e bruciata, ci spiega come abbia imparato l'arte di scagliare frecce e squartare corpi. La serie racconta tantissime cose che sono fuori dal romanzo, come il suo amore per Dolcino. I suoi seguaci portavano nel medioevo idee e parole di cui ancora oggi si discute e che loro volevano all’epoca far conoscere  a tutto il popolo derelitto e oppresso. Un grandissimo complimento (tutto da condividere!) Greta lo riserva al costumista  Maurizio  Millenotti che ha rivestito di mille colori comparse e attori. E anche se Margherita e Anna non ci sono nel nome della rosa, Battiato ci assicura che  "Eco sapeva che si sarebbe sviluppato l’aspetto dell’eresia dolciniana e ci aveva raccomandato di non far fare cose troppo cattive a Dolcino. Margherita è un elemento accennato più volte nel libro, con particolare riferimento al suo ruolo come compagna di Dolcino, la cui figlia ha anche lei una sua vicenda fuori dal testo".

Per quanto riguarda poi il posizionamento della fiction con gli altri film di analogo tenore, Battiato sostiene che questo prodotto Rai si distingue da tutti i precedenti per aver privilegiato molto più lo spazio narrativo, mettendo in secondo piano la trama del giallo che, invece, nel caso del film omonimo di molti anni fa ha reso il contenuto dei personaggi estremi con una scelta visiva a effetto. Nel ricostruire gli scenari descritti nel libro, avverte, si è cercato di ricreare negli studi un assetto dell'interno della biblioteca-labirinto in base a un modello "superfedele alla versione di Eco. Abbiamo scelto altresì un gotico più ricco per accentuare la magia di quell'ambiente". Per Antonia Fotaras, che interpreta la ragazza dai capelli rossi, bella, giovane e selvaggia, è particolarmente importante studiare la fonetica per capire la grazia e la musicalità di una lingua come quella occitana, utilizzata come strumento linguistico per la costruzione di una bellissima storia d’amore raccontata nella serie.

Una notazione doverosa sul colore di cui è impregnato questo straordinario prodotto. Come ha precisato il regista Giacomo Battiato, il Medio Evo non è stato affatto un periodo "buio" nello spirito delle persone. Vedi la luce e l’ispirazione di Giotto. Un po' dappertutto, quindi, si sono inseriti forti innesti di colore nei costumi sempre sgargianti dei poverissimi e dei molto ricchi. In fondo, molti pittori del passato, Caravaggio incluso, non si sono fatti grandi domande sulla luce: l'hanno collocata nei loro quadri come ritenevano più bello e interessante per illuminare le scene che dipingevano. Del resto, anche i pazienti in analisi non raccontano forse al loro terapeuta: "stanotte ho fatto un film"? E, dice Battiato, "un sogno del passato è un sogno al quadrato! Sotto le fondamenta di palazzo Altemps non c’è, forse, una sezione in profondità di strada romana con resti di case di colore vivo giallo, verde, ocra, etc.? Le città erano così anche nel Medio Evo, e le persone indossavano costumi coloratissimi!". Mi auguro, da parte mia, che la stessa luce accolga questa sfida internazionale che l'Italia intende portare alle Major statunitensi delle fiction di successo globale, come fanno sperare le prevendite realizzate in tutto il mondo!

Infine, un rapido accenno agli attori principali del prestigioso cast presente in sala, con alcune eccezioni, come quella di Rupert Everett, assente giustificato a causa di impegni pregressi di lavoro: Guglielmo da Baskerville (John Turturro), monaco francescano inglese e protagonista della storia; Adso da Melk (Damian Hardung), giovane tedesco di nobili origini, che vuole farsi monaco ed entrare nell'Ordine benedettino; Bernardo Gui (Rupert Everett), domenicano francese tristemente noto per il suo operato crudele da Inquisitore medioevale, inviato dallo stesso Papa nell'Abbazia per guidare la delegazione pontificia, che si contrappone radicalmente alla tesi francescana che sosteneva la povertà assoluta di Cristo il quale "non possedeva nemmeno il mantello che indossava"; Dolcino (Alessio Boni), il capo di una setta eretica e guerriera di frati francescani rinnegati; Margherita (Greta Scarano), immaginaria compagna di Dolcino, di nobili origini; Anna (Greta Scarano), la figlia di Dolcino e Margherita; Remigio da Varagine (Fabrizio Bentivoglio), il cellario dell'abbazia; Salvatore (Stefano Fresi), Monaco converso dolciniano dal viso deforme; l'Abate Abbone (Michael Emerson), un uomo avido dalla personalità ambigua; Jorge da Burgos (James Cosmo), vecchio monaco cieco, uno degli anziani più colti dell'abbazia e terribilmente oscurantista; Malachia da Hildesheim (Richard Sammel), capo bibliotecario dell'abbazia, successore designato dell'Abate Abbone; Alinardo (Roberto Herlitzka), un monaco vecchissimo chiaroveggente e affetto da demenza senile.

La Recensione

Maurizio Bonanni