Gli anni settanta di Fabrizio Bentivoglio

01/01/2008

Sono Anni Settanta anomali quelli raccontati da Fabrizio Bentivoglio nel poetico “Lascia perdere, Johnny!”. Seguendo il sogno musicale di un ragazzo della periferia di Caserta presenta uno spaccato delle illusioni che tutti abbiamo un po’ avuto perché ci piaceva illuderci, sgombro da quadri politici e dalle violenze troppo spesso narrate al Cinema. Il suo film va dritto al cuore nella sua semplicità, nella sua immediatezza, e scivola lieve sul filo della nostalgia.
Raccontando la storia di un sognatore ho dovuto sgombrare il campo da ogni implicazione sociale e lasciare il suo sogno in primo piano. Si è cercato di alludere ad un’epoca, di ricordarla, anche con i vuoti di memoria, di ricrearla musicalmente anche senza appoggiarsi alla musica di quegli anni. I personaggi sono come i personaggi delle canzoni, tratteggiati per sommi capi, lasciando lo spazio per ricostruirli” racconta l’attore regista.
E il protagonista; Faustino Ciaramella, interpretato dall’esordiente Antimo Merolillo, incarna l’ingenuità di quegli anni “C’è la sensazione che quello fosse l’ultimo momento storico in cui era possibile essere ancora ingenui, poi è stato più complicato avere ancora quel rapporto con la vita e con gli altri, e questo è uno dei nutrimenti del film. Si è scelto il punto di vista di Faustino per raccontare la storia, e lui è un candido, quindi è uno sguardo senza malizia e i cattivi non ci sono perché non li vede lui
E poi c’è l’amore per la musica, vissuto in prima persona e, anche se il film nasce dai racconti del chitarrista Fausto Mesolella, c’è molto di Bentivoglio in questa storia di incoscienza e di desideri.
Non c’è nemmeno una storia, ce ne sono tante, e noi le attraversiamo accompagnati da questo giovane. Il momento più delicato è stato organizzare il materiale narrativo: tutti noi conosciamo aneddoti e storie varie e abbiamo dovuto fonderli in un’unica storia
- Influenze letterarie e cinematografiche?
Tutte le cose ci colpiscono vanno a finire inconsciamente in un film. Sarebbe troppo facile dire Dickens, e tutti i romanzi di apprendistato in cui è il ragazzo a raccontare la sua storia. Come sarebbe troppo facile dire Fellini
- Ci sono anche ricordi personali?
E’ pieno di ricordi personali, ma sono abilmente nascosti, per cui non te li rivelerò. Da attore quale sono ho preferito nascondermi dietro la storia di un altro
- Come è stato scoperto Antimo?
Cercavo un ragazzo che portasse in dote la passione per la musica e lo stavo cercando in un paese che, mi avevano detto, aveva una forte tradizione bandistica. E lì mi è apparso il personaggio in carne ed ossa. E’ formidabilmente portato a stare davanti alla macchina da presa
- Quello per il Sud è un amore che si ripete...
Il mio amore per il Sud è atavico. Sono nato a Milano, ma appena ho avuto le mie alucce per volare sono volato verso Sud, quasi sentissi il richiamo della foresta
- Era un film meditato da tempo?
Lo pensavo da almeno 15 anni, forse 20. L’ho scritto in un annetto. Lo abbiamo girato in quattro settimane per la parte estiva e due settimane per la parte invernale. Quindi, una volta scelta l’inquadratura, dovevamo raccontare tutto in quell’unica carezza. Come dice Coppola, quando si gira un film si impazzisce e bisogna accettarla questa pazzia ricca e gioiosa. L’atmosfera che regna sul set si imprime alla pellicola
- Quando sarà il prossimo?
Non lo so. Fare un film è subordinato ad un innamoramento e gli innamoramenti sono improvvisi, non si possono programmare

Gabriella Aguzzi