Sono
Anni Settanta anomali quelli raccontati da Fabrizio
Bentivoglio nel poetico “Lascia perdere,
Johnny!”. Seguendo il sogno musicale di
un ragazzo della periferia di Caserta presenta
uno spaccato delle illusioni che tutti abbiamo
un po’ avuto perché ci piaceva illuderci,
sgombro da quadri politici e dalle violenze troppo
spesso narrate al Cinema. Il suo film va dritto
al cuore nella sua semplicità, nella sua
immediatezza, e scivola lieve sul filo della nostalgia.
“Raccontando la storia di un sognatore
ho dovuto sgombrare il campo da ogni implicazione
sociale e lasciare il suo sogno in primo piano.
Si è cercato di alludere ad un’epoca,
di ricordarla, anche con i vuoti di memoria, di
ricrearla musicalmente anche senza appoggiarsi
alla musica di quegli anni. I personaggi sono
come i personaggi delle canzoni, tratteggiati
per sommi capi, lasciando lo spazio per ricostruirli”
racconta l’attore regista.
E il protagonista; Faustino Ciaramella, interpretato
dall’esordiente Antimo Merolillo, incarna
l’ingenuità di quegli anni “C’è
la sensazione che quello fosse l’ultimo
momento storico in cui era possibile essere ancora
ingenui, poi è stato più complicato
avere ancora quel rapporto con la vita e con gli
altri, e questo è uno dei nutrimenti del
film. Si è scelto il punto di vista di
Faustino per raccontare la storia, e lui è
un candido, quindi è uno sguardo senza
malizia e i cattivi non ci sono perché
non li vede lui ”
E poi c’è l’amore per la musica,
vissuto in prima persona e, anche se il film nasce
dai racconti del chitarrista Fausto Mesolella,
c’è molto di Bentivoglio in questa
storia di incoscienza e di desideri.
“Non c’è nemmeno una storia,
ce ne sono tante, e noi le attraversiamo accompagnati
da questo giovane. Il momento più delicato
è stato organizzare il materiale narrativo:
tutti noi conosciamo aneddoti e storie varie e
abbiamo dovuto fonderli in un’unica storia”
- Influenze letterarie e cinematografiche?
“Tutte le cose ci colpiscono vanno a
finire inconsciamente in un film. Sarebbe troppo
facile dire Dickens, e tutti i romanzi di apprendistato
in cui è il ragazzo a raccontare la sua
storia. Come sarebbe troppo facile dire Fellini”
- Ci sono anche ricordi personali?
“E’ pieno di ricordi personali,
ma sono abilmente nascosti, per cui non te li
rivelerò. Da attore quale sono ho preferito
nascondermi dietro la storia di un altro”
- Come è stato scoperto Antimo?
“ Cercavo un ragazzo che portasse in
dote la passione per la musica e lo stavo cercando
in un paese che, mi avevano detto, aveva una forte
tradizione bandistica. E lì mi è
apparso il personaggio in carne ed ossa. E’
formidabilmente portato a stare davanti alla macchina
da presa”
- Quello per il Sud è un amore che si ripete...
“Il mio amore per il Sud è atavico.
Sono nato a Milano, ma appena ho avuto le mie
alucce per volare sono volato verso Sud, quasi
sentissi il richiamo della foresta”
- Era un film meditato da tempo?
“Lo pensavo da almeno 15 anni, forse
20. L’ho scritto in un annetto. Lo abbiamo
girato in quattro settimane per la parte estiva
e due settimane per la parte invernale. Quindi,
una volta scelta l’inquadratura, dovevamo
raccontare tutto in quell’unica carezza.
Come dice Coppola, quando si gira un film si impazzisce
e bisogna accettarla questa pazzia ricca e gioiosa.
L’atmosfera che regna sul set si imprime
alla pellicola”
- Quando sarà il prossimo?
“Non lo so. Fare un film è subordinato
ad un innamoramento e gli innamoramenti sono improvvisi,
non si possono programmare”