Giochi pericolosi

10/11/2008

Tre ragazze belle, ricche e giovani vivono in un assoluto vuoto emotivo, in una gelida assenza di sentimenti dove esercitare il proprio fascino e potere, ferire gli altri considerandoli delle semplici pedine a servizio dei propri trionfi diventa un gioco crudele e perverso. Nelle spire di questo gioco cade un professore ingenuo e idealista (interpretato da Filippo Nigro) che si illude di poter cambiare le ragazze e ne resta invece stupidamente soggiogato. La tragedia è alle porte.
“Un gioco da ragazze”, il film di Matteo Rovere, si pone come noir per giovani e sui giovani (per questo il divieto ai minori era assolutamente assurdo), con una dark lady adolescente e personaggi volutamente estremizzati, ma che del noir ha solo la bozza. Avrebbe potuto presentare una trama più sottilmente diabolica, invece sceglie di mostrare la fredda sfera che costituisce il mondo dei suoi piccoli mostri.
Liberamente tratto dal romanzo di Andrea Cotti edito da Colorado Noir, il film opera un capovolgimento rispetto al libro e, anziché narrare l’indagine che segue il fatto di sangue, racconta ciò che lo precede, facendone una sorta di prequel.

Abbiamo incontrato regista e interpreti per conoscere cosa più li ha colpiti negli agghiaccianti personaggi di “Un gioco da ragazze”. Matteo Rovere inizia proprio dalla trasposizione dell’omonimo romanzo. “E’ stato il mattone di partenza, ma più che l’indagine poliziesca mi interessava il contesto di vuoto di sentimenti che conduce alla tragedia. Nel romanzo la cosa che più mi ha colpito è la capacità di prendere subito le distanze da fatti di sangue che accadono apparentemente senza motivazione. Tutto ciò è raccontato molto bene e l’ho ritrovato anche nella cronaca. La giovane protagonista è una sorta di concentrazione di fredde emozioni, ha paura di ciò che provare qualcosa porta in sé e l’ha negato. Vi è una tragica incapacità di cambiare e il suo contesto familiare è volutamente eccessivo, stereotipato, per rappresentare la totale assenza di valore e di comunicazione emotiva”.
Chiara Chiti, Nadir Caselli e Desirèe  Noferini sono tutte alla loro prima esperienza cinematografica. Non è certo stato facile scontrarsi al primo impatto con dei personaggi così neri e privi di emozioni. Lo racconta Chiara Chiti che nel film è Elena, l’enfant terrible: “Inizialmente ho avuto difficoltà perché il personaggio era così diverso da me, quando ho avuto il copione ho dovuto prendermi tempo per accettarlo, ma avevo bisogno di capire da dove arrivava tutta questa cattiveria, perché non riesce ad amare, ad emozionarsi. Io sono un tipo impulsivo e spingo la mia vita verso le emozioni, lei invece è al limite della patologia, un concentrato di tutti gli aspetti negativi che può contenere una ragazza.  Ho voluto quindi utilizzare anche delle mie fragilità, che non si notano perché è talmente forte il suo lato nero: da spettatrice non vedo nulla che possa giustificarla, ma per interpretarla ho dovuto un po’ capirla, perché in fondo il film non giudica, ma mostra.  E in lei c’è qualcosa che grida aiuto e a cui reagisce con cattiveria. Il professore non è un personaggio forte, cade solo nelle grinfie della ragazzina, lei invece avrebbe avuto bisogno di una persona furba, all’altezza della sua intelligenza volta al negativo”.

Entusiaste Nadir e Desirèe, nel film le amiche di Elena. “E’ stata un’emozione fortissima, unica, una bellissima esperienza nuova. Ed anche una sfida iniziare con un personaggio così diverso da me e per certi lati intrigante” dice Desirèe, che interpreta Michela. “Al piacere di imparare a conoscere un personaggio così diverso da me si è aggiunto quello di rintracciare una sua sensibilità interna che affiora solo in certe occasioni, a dispetto delle amiche, una fragilità che Alice ha vergogna di provare” aggiunge Nadir.  E cosa l’ha più attratta in questa storia tanto nera e cattiva? “E’ una storia forte e ha il chiaro obiettivo di dare un pugno nello stomaco ai genitori e fra riflettere i ragazzi, far capire che esistono certe realtà e raccontarle così come sono. In questo si propone come un genere nuovo, diverso da tante rappresentazioni edulcorate, che vuole rispecchiare una determinata realtà”.

Gabriella Aguzzi