“Illusioni perdute” è un ciclo di 3 romanzi di Honoré de Balzac che ha per protagonisti i sogni e le disillusioni di due amici, David Sechard, tipografo, e Lucien Chardon, poeta. Questi parte per Parigi in cerca di gloria e amore, ma otterrà solo una fama effimera e traditrice come giornalista. Le sue vicende verranno riprese in un nuovo ciclo, “Splendori e miserie delle cortigiane”, dove riuscirà ad ottenere il nome di Lucien de Rubempré e un posto nell’alta società, ma con esiti vieppiù tragici.
Il film di Xavier Giannoni taglia il personaggio di Sechard e si concentra esclusivamente sulle vicende di Lucien Chardon de Rubempré raccontate nei primi due libri delle Illusioni, “Due poeti” e soprattutto “Un grand’uomo di provincia a Parigi”, racconto che diede grattacapi e suscitò vendette contro Balzac, che non lascia sconti nel raccontare la propria esperienza nel fasullo mondo del giornalismo ed editoria. La pellicola, di grande bellezza scenografica e fotografica (resa solo un po’ calligrafica dall’onnipresente voce narrante), ha l’andamento e la grazia di una suite musicale, ma non manca di graffiare quando sottolinea la perenne attualità della legge dell’apparire, o dei “canard” giornalistici (oggi le chiamiamo fake news): tra il mondo della restaurazione e quello dei social non c’è poi grande differenza, forse i giovani partono solo già armati di cinismo.
Nel notevole cast spicca la presenza del giovane e talentuoso Benjamin Voisin (già apprezzato in Estate dell’85), che riesce a trasmettere al personaggio di Lucien tutta la gamma di sentimenti ed emozioni, che vanno dallo stupore fanciullesco, all’amore appassionato, alla cinica furberia, fino all’amara disillusione (per quanto, sottolinea pungente Balzac, “si pentì presto del suo pentimento”). Lo abbiamo brevemente incontrato dopo l’anteprima del film e si è dimostrato un ragazzo deliziosamente affabile e simpatico, che avrebbe voluto restare ore a parlare.
A volte affrontare un personaggio nuovo è più semplice che confrontarsi con un mito della letteratura. Lei aveva già una sua visione di Lucien de Rubempré prima di parlarne col regista?
Per me è stato più facile misurarmi con un personaggio che avevo già immaginato e col quale mi ero già per molti versi immedesimato: gli ho solo dovuto restituire l’emozione provata quando leggevo la sua storia. Avendo relativamente pochi dialoghi, l’ho fatto muovere e commuovere attraverso gli occhi, lo sguardo, per dare qualcosa di me, della mia intimità e personalità a quel ruolo. Xavier (Giannoni) mi ha detto di renderlo il più possibile vicino a me, che il personaggio avrebbe preso più vita se fosse stato realistico e sincero, e anche Xavier Dolan e Gerard Depardieu, che mi hanno molto aiutato, me lo ripetevano sempre: “sii te stesso”.
Qui finisce la vicenda di Lucien Chardon. Ma nell’intenso primo piano finale si può leggere di già il seguito della sua storia…
(si illumina) Lo ha notato? Grazie… Quello che volevo fare era appunto comunicare un senso di disillusione, trasmettere la desolazione futura: quello che vediamo non è più un ragazzo pieno di speranze, ma un uomo che ha perso l’infanzia e l’innocenza. Mi piacerebbe molto girare il seguito, affrontare un personaggio bellissimo che prova a cogliere la sua seconda occasione dopo la prima delusione, ma per essere credibile dovrei aspettare una dozzina d’anni. Tornando all’ultimo primo piano, la cosa curiosa è che in realtà è stata la prima scena che abbiamo girato. Erano le sei della mattina, e la prima sequenza da girare è la conclusione. Il regista mi ha detto “scegli la nota che vuoi e lasciati andare a quella”.
La Recensione del Film