I dischi di Carlo Verdone

29/03/2023

“Il mio amore per la musica rock è nato quel giorno che andai in un negozio di musica con un disco di Peppino di Capri, che mio fratello aveva appena comprato e non ancora tirato fuori dalla confezione, e chiesi al negoziante se potevo cambiarlo con qualcosa più alla moda: in vetrina c’era Twist and Shout dei Beatles, mi attirava e indicai quello. Quando lo misi sul giradischi ne rimasi folgorato”. Così racconta Carlo Verdone durante l’incontro di lunedì 27 presso il Teatro Carcano. Tema: le mie canzoni. Appassionato di musica, batterista dilettante, Verdone ha saputo utilizzare benissimo la musica nei suoi film, dalle colonne sonore di Ennio Morricone, all’inserimento di canzoni amate nelle pellicole (“non è facile in una commedia, devi trovare un varco nelle battute: ma in Borotalco e Acqua e sapone ho potuto omaggiare Lucio Dalla e collaborare con gli Stadio e Vasco Rossi, in Compagni di scuola ho usato ben 14 canzoni inserite nel contesto, in Perdiamoci di vista ho alzato il livello della sequenza in piscina grazie all’utilizzo di Heartbeat di David Sylvian e Maledetto il giorno che ti ho incontrato è il solo film al mondo, per una fortunata coincidenza temporale che mi ha fatto arrivare in un momento di vuoto sui diritti d’autore, che può vantare ben 5 brani di Jimi Hendrix”). Così nell’incontro col pubblico ha presentato una playlist di 10 artisti per lui particolarmente significativi (potete trovarli al seguente link: https://twitter.com/RockOthers/status/1640796061613674504?s=20) e raccontato con la verve che lo contraddistingue una serie di aneddoti, senza mancare di buttare lì qualche riflessione.

La batteria. “Credo di aver scelto questo strumento perché mio padre, che è di Siena, ci portava sempre a vedere il Palio e mi sono affezionato al rullare dei tamburini. La mia prima batteria, una Hollywood, la più economica, mi fu comprata su insistenza di mia madre. Purtroppo però andavo male a scuola, e quando mio padre seppe che sarei stato bocciato si arrabbiò tanto che me la ruppe prendendola a calci. Io mi misi a studiare - senza capire il perché dato che sarei stato bocciato… - e lui un po’ si pentì, o forse fu mamma a farlo sentire in colpa. E così un giorno si presentò contrito con un regalo per farsi perdonare: il biglietto per andare a vedere i Beatles in concerto! Fu bellissimo, finché uno stronzo non salì sul palco cercando di togliere il berretto a John. Il concerto fu interrotto, e così mi sono perso altri 10 minuti che sarebbero stati memorabili”.

Il Piper. “Furono anni bellissimi. Via Veneto era più per playboy, paparazzi, gente in vista o che voleva esserlo. Quando la dolce vita tramontò, iniziò l’era del Piper. Lì ci venivano tutti i ragazzi, e anche artisti che poi sarebbero diventati clamorosi, come gli Who o i Pink Floyd. David Gilmour lo incontrai poi nell’85, a Lindos. Era un periodo triste per me perché era morta mia madre ed ero in viaggio in barca. Scesi sull’isola, entrai in un baretto… figurati se è lui… però sembra proprio lui, mi faccio coraggio, lo avvicino: non solo ho il suo autografo con dedica, ma il destino volle che ci rincontrassimo e si ricordasse di me”.

I concerti terribili. “Adoro gli Who, sono gli artisti di cui ho assistito più concerti, ma in uno il volume era così forte che mi sono rimasti gli acufeni e all’ultimo, all’Arena di Verona, si è messo a diluviare a metà concerto e si è dovuto interrompere, e quando è ripreso Roger Daltrey aveva perso la voce, e le rimanenti canzoni le ha dovute cantare tutte Peter Townsend. Una delusione poi David Sylvian, artista che amo tantissimo: ma quando sono andato a vederlo ho saputo troppo tardi che non può più cantare e per tutto il tempo si è sentita solo la musica… due palle. La peggiore esperienza però è stata quando al teatro Tenda è arrivato Ginger Baker: la folla che pressava, gente che è entrata senza biglietto… sono rimasto fuori, schiacciato nella folla, credevo di soffocare: per anni non sono stato più a un concerto. Finché sono arrivati i Police con Synchronicity e gli U2 con The Joshua Tree, e sono tornato a entusiasmarmi”.

Incontri d’arte. “Purtroppo non ho mai incrociato nessuno dei Beatles, ma sono stato a una mostra di quadri di Yoko Ono, e c’era questo quadro suddiviso in pannelli, con le parole di Imagine coperte di nuvole grigie, molto bello. Yoko non voleva venderlo perché lo aveva dipinto dopo la morte di John. A una mostra seguente, sono tornato alla carica: un film mi era andato bene e ho alzato il prezzo: ora è a casa mia, con una dedica personale di Yoko sul retro. Anche con David Bowie ho scoperto un feeling artistico. Era a Milano coi Tin Machine mentre stavo girando Maledetto il giorno… e sono andato a vederlo assieme a Margherita Buy. A fine concerto Gianni Versace ci invita a casa sua, e lì c’è anche David. Era gentile ma un po’ sulle sue, poi non so come ci siamo messi a parlare di pittori futuristi, di cui mio padre era collezionista, e ha cominciato a entusiasmarsi anche per i nomi più di nicchia come Prampolini! Invece Margherita scalpitava per andare a casa perché al mattino dopo dovevamo svegliarci all’alba per girare, ma la moglie di Bowie era seduta sulla sua giacca e lei continuava a borbottare ‘ma che cafona, ma dille di alzarsi, ma guarda che stronza…’ ”. 

Elena Aguzzi