L'Amarcord di Pupi Avati

05/04/2009

E’ stato con un cocktail appositamente inventato e dedicato al Bar Margherita, un cocktail che evoca i sapori Anni 50, che si è festeggiato alla Terrazza Martini di Milano il film numero 38 di Pupi Avati. Un film tutto sul filo della nostalgia, il suo personale  ed affettuoso amarcord di un luogo, il bar Margherita, e di un anno, il 1954, il ritratto di un mondo perduto e irripetibile, popolato da personaggi che sono soprattutto caratteri emblematici della vita di provincia, spesso cattivi, ma visti sempre col sorriso di chi ricorda qualcosa di amato che non c’è più. “Ho voluto riprodurre le condizioni psicologiche della mia giovinezza e il sentimento di sudditanza che avevo nei confronti di questo bar. So per certo che alcune delle storie narrate nel film sono vere, come lo scherzo di Sanremo o l’episodio dell’auto guidata ad occhi bendati. C’era chi, come nel film, vendeva vestiti di taglia unica per i preti e c’è stato un matrimonio mandato all’aria alla vigilia delle nozze. Il fatto che mio nonno sia morto durante una festa in cui avevo invitato la più bella ragazza di Bologna è puramente falso: la ragazza se ne è andata senza che mio nonno fosse morto”.

Esistono infatti due facce di Pupi Avati, una horror, sempre legata alle ombre del suo mondo lungo il Po, e una nostalgica e agrodolce, spesso più amara che malinconica. Quando parla di amicizie tradite e guarda indietro al mondo della sua giovinezza Pupi Avati confeziona dei piccoli gioielli, come “Regalo di Natale”, il recente, bellissimo, “Il papà di Giovanna” o “Dichiarazioni d’amore”, film al quale “Gli amici del bar Margherita” forse maggiormente si accosta. E ancora “Una gita scolastica”, “Festa di laurea”, “Ma quando arrivano le ragazze?”, “Il cuore altrove”, “La seconda notte di nozze”: sembra che il passato sia il luogo che Pupi Avati ama visitare con più frequenza, sentendosi a suo agio in compagnia dei fantasmi del ricordo.
E così ancora una volta torna nella sua Bologna e la guarda attraverso gli occhi del 18enne Taddeo detto “Coso” (Pierpaolo Zizzi) che identifica negli abituali frequentatori del bar Margherita i miti a cui vorrebbe unirsi ed assomigliare. Con Taddeo il regista condivide i ricordi, che sfuma e traveste nel racconto, per immortalare alla fine i suoi “eroi sciocchi” dietro l’obiettivo della macchina fotografica nella foto di fine anno, come già in “Una gita scolastica”. E, per usare le sue stesse parole, alza la saracinesca della sua memoria e ritrova intatti, preservati dalle ingiurie del tempo, i protagonisti di quel piccolo mondo mitizzati dai suoi sogni di ragazzo.
"Più che raccontarlo com'era, l'ho raccontato come vorrei che fosse stato. C'è nostalgia, ma c'è anche rammarico"

Così Diego Abatantuono è Al, il capo carismatico del gruppo, con le sue notti tra lasagnette e puttane, Neri Marcorè è Bep, che conta tutti gli oggetti che vede e che non si presenta al matrimonio perché innamorato di una entrenueuse (è tutta una manovra di Al per “salvarlo”), Luigi Lo Cascio (al suo primo film con Avati) è il siciliano Manuelo, ladro, folle e malato di sesso, Fabio De Luigi è Gian, che sogna Sanremo ed è vittima di uno scherzo perfido, e poi Katia Ricciarelli è la madre e un grande Gianni Cavina è il nonno. Così commozione e cattiveria si fondono inestricabili nel quadro che tratteggia.
“Pupi ha raccontato questa cattiveria divertendosi, cattiveria che nel mondo di oggi non è più così sottile” dice Cavina. “Una volta si era cattivi quando si voleva scherzare, oggi c’è la cattiveria e basta” sottolinea la Ricciarelli. E conclude Lo Cascio: “E’ un film divertente che dipinge un mondo di  fanciullezza, di gioco, e non c’è persona più spietata del bambino” 
Abbiamo detto subito, d’istinto, la parola “amarcord”, ma “Gli amici del bar Margherita” è da accostare, come atmosfere e aria che vi si respira, per la complicità fatta di cattiverie che lega il gruppo di amici e per lo humour feroce sotto la crosta della nostalgia, soprattutto a Pietro Germi “Il paragone con Germi mi lusinga. Signore e signori è uno dei film che ho amato di più”.

Gabriella Aguzzi