L'Horror Day scopre il "Lynch Indonesiano"
21/05/2009

E’ tradizione dell’acclamato Far East Film di Udine dedicare un’intera giornata, fino a notte fonda, al genere horror: una maratona dell’incubo tra fantasmi e misteriose minacce. Quest’anno, oltre alle già note correnti giapponesi e coreane, il Festival dedicato al Cinema dell’Estremo Oriente ha messo in luce l’horror thailandese e indonesiano, due cinematografie che hanno molte cose nuove e interessanti da dire. E l’autentica scoperta è stata Joko Anwar, talento originale e trasgressivo del Cinema Indonesiano. Immediatamente soprannominato “il Lynch indonesiano” per la visionarietà e le plurime chiavi di lettura del suo “The Forbidden Door” che lo rendono affine agli incubi di David Lynch, il regista sorprende e sconvolge con un film tutt’altro che facile, dove l’horror risiede nelle pieghe più spaventose della mente, ed ammonisce a non aprirne mai le porte segrete, per non scoprirne l’abisso. Un film disturbante, che parla di aborti e sevizie infantili fino all’esplosione di efferata violenza, orchestrata su una canzone natalizia, che macchia di sangue lo schermo e una cena di famiglia e a sorpresa ci catapulta in un ospedale psichiatrico, suggerendo che ogni cosa raccontata sia stata un incubo mentale del protagonista, ma perfino dopo i titoli di coda insinua nuovi dubbi e nuove interpretazioni, spiazzando di continuo lo spettatore.
“E’ un film da vedere due volte, perché è tutto disseminato di indizi che ci suggeriscono che forse non era affatto un’immaginazione del protagonista” ci dice Joko Anwar, il cui finale fa pensare non solo a Lynch ma anche al capolavoro dell’Espressionismo Tedesco “Il gabinetto del dottor Caligari”.

Un ruolo difficile per il bravo Fachri Albar che deve cambiare di continuo il registro interpretativo del suo complesso personaggio, divenendo di volta in volta inquietante, sofferente, tormentato, uomo di successo, folle e gelido assassino. “E’ stato un viaggio fantastico per me, come andare sulle montagne russe, un susseguirsi di emozioni altalenanti – risponde l’attore quando gli chiediamo come ha vissuto questa esperienza e questo ruolo dai mille volti – Quando mi ha telefonato proponendomelo gli ho detto: ti odio, è una pazzia, non ce la posso fare. Ero spaventato ma anche eccitato: dovevo essere felice, uno scultore con una vita perfetta e una moglie perfetta, ma che lascia intuire subito che dietro di lui si nasconde un mistero, poi curioso per i messaggi d’aiuto che riceveva e improvvisamente divenire l’opposto di come ero apparso fino a quel momento, trasformarmi in un killer psicopatico, finché alla fine nasce il dubbio che sia avvenuto tutto nella sua mente malata”.
“Come è avvenuta la preparazione? Siete sempre andati d’accordo sulla visione dei personaggi?”
“Abbiamo passato un mese leggendo e provando e ne abbiamo discusso molto. Nella scena della pazzia durante la cena di Natale, ad esempio, io avrei voluto piangere, ma lui mi ha detto che dovevo essere assolutamente freddo. Lo strano è che ho dimenticato completamente quello che ho provato durante quella scena. Quando vedo un film con il pubblico voglio sorprendermi e così è stato l’altra sera quando ho rivisto quella scena. Mi sono detto: ma quello sono io?! Non è possibile!”
Fachri, che recita al fianco della bella e ambigua Marsha Timothy, è in Italia per la seconda volta ed è piacevolmente sorpreso dall’accoglienza del pubblico di Udine. Rivela di essere “un fanatico del Cinema, dal thriller alla commedia romantica” e che la situazione cinematografica in Indonesia è in via di miglioramento. Non è nuovo al Cinema di Joko Anwar. “Ho interpretato un transessuale e un giornalista affetto da narcolessia (in “Dead Time: Kala”)”.
“Come vedete il paragone con il Cinema di Lynch?”
“Penso che l’estro di Joko sia comunque unico”

“Ho subito diverse influenze, sia da Hong Kong che dall’America, ma amo mescolare i generi – dice Joko Anwar – Il film è basato su un libro, ma l’80% è cambiato. Quando il produttore ha visto che avevo scritto una storia completamente diversa dal romanzo che mi aveva consegnato ho cercato un nuovo produttore.”
“Qual’è il vostro metodo di lavoro?”
“Durante le prove ho chiesto agli attori di dare il loro punto di vista e le loro versioni dei personaggi e se non eravamo d’accordo provavamo a sviluppare un nuova idea. E’ stato più un gioco che un lavoro, un gioco di ruolo per immedesimarsi e sviluppare diverse reazioni”.
Gabriella Aguzzi