“Nelle montagne del Nord Italia un giovane inciampa in un sacco pieno di lettere di soldati tedeschi e italiani. Giaceva lì, abbandonato all’ingresso del bunker. L’inchiostro ormai debole rivelava i pensieri più intimi di quegli uomini, i loro sentimenti e le loro paure. Questo film racconta le storie di questi uomini, che un tempo erano nostri nemici”
Inizia così, con questa didascalia “Last Letters from Monte Rosa”, il toccante film di Ari Taub che noi di Quarto Potere abbiamo avuto la fortuna di poter visionare in anteprima, augurandoci che qualche distributore illuminato lo possa presto mostrare anche al nostro pubblico. Perché ci racconta davvero molto su un controverso periodo storico ed è sorprendente che a farlo sia un americano, il quale narra con lucida imparzialità e con occhio umano la prospettiva “del nemico”. Ed è cosa assai triste che la RAI, con poca lungimiranza, lo abbia liquidato come “politicamente scorretto”. Raccontare il punto di vista di chi combatte su diversi fronti, immergendosi sia nelle piccole paure quotidiane che nelle grandi angosce, in ciò che li accomuna e ciò che li differenzia può apparire politicamente scorretto solo a chi giudica con una visuale ristretta. Prova ne è che proprio in America il film è piaciuto e la Première di questa settimana a IndieScreen a Brooklyn è stata un vero successo. “Chiunque l’ha visto lo ha amato ed è stato colpito dall’unicità della storia. Ci pensa anche molto dopo e questo significa che ho fatto il mio lavoro. La gente ride e 5 minuti dopo piange per l’impatto emozionale” ci dice lo stesso Ari Taub. Ed altra prova è che Ari non è solo. Lo stesso Clint Eastwood ha fatto la stessa operazione con “Lettere da Iwo Jima”, che appare un film giapponese a tutti gli effetti e che parte sempre da un ritrovamento epistolare. Ma l’idea di “Letters from Monte Rosa” nasce ben prima del film di Eastwood.
“Qual’è stata la tua reazione quando Clint Eastwood si è presentato con un’idea simile?”chiedo al regista.
“Sono stato felice di vedere che Clint Estwood aveva deciso di fare un film con una concezione simile: mi ha detto che non ero solo e che ero sempre avanti nel trovare idee da filmare. Tuttavia, poiché il suo film è uscito prima del mio, mi hanno detto che lo avevo copiato, il che non era vero. Il suo film è uscito prima e con un impatto maggiore del mio, così in qualche modo ha tolto originalità alla mia idea. Ma in ogni caso il suo film guarda alla prospettiva giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale, il mio a quella Italo-Tedesca”.
E, a sottolineare ulteriormente l’affinità tra i due, abbiamo anche nel caso di Ari Taub un film precedente, ambientato nello stesso periodo storico. Si tratta di “The Fallen”, film più volte premiato, anche a Milano al MIFF Festival 2005. Molte scene sono molto simili, così come l’ambientazione, e molti attori ritornano. “Ma poiché il film è raccontato dalla prospettiva tedesca e italiana il risultato è molto diverso. Ci sono nuove scene e puoi avere uno sguardo molto più vicino alla loro storia e più intimo, poiché ci sono poche distrazioni dal mondo di fuori”.
Così troviamo un drappello tedesco, accerchiato dai Partigiani, affamato e demoralizzato, che attende rinforzi dalle truppe italiane. Finalmente le truppe arrivano, ma sono messi ancora peggio dei Tedeschi che dovrebbero aiutare e tra di loro scoppiano continui contrasti. Il ritratto che ne esce, con brevi pennellate, è nitido ed efficace, dove la commozione arriva di sorpresa e con forza. Abbiamo definito il film toccante, ma è anche straordinariamente asciutto e in questo sta il suo magico equilibrio. Un film senza retorica, che lascia parlare i fatti e le lettere dei protagonisti, crudo e malinconico al tempo stesso.
“Come ti sei avvicinato al punto di vista tedesco e italiano? Cosa sapevi prima di iniziare il film?”
“Ho studiato molti libri e intervistato molte persone prima di iniziare a giare il film e ho trovato che gli Italiani che ho intervistato erano più restii a parlare ed elusivi. Dietro al consueto ‘non ho mai combattuto o supportato i fascisti’ non mi è stato possibile ricevere informazioni da gente che ricordasse o avesse combattuto con la Repubblica di Salò. I Tedeschi fornivano maggiori informazioni storiche. Naturalmente le storie che ho ascoltato non hanno nulla a che fare col mio film. Nessuno mi ha detto ciò che volevo realmente ascoltare e devo molto alla scrittura del mio sceneggiatore di talento Caio Ribeiro".
“Conosci film di guerra italiani come ‘La Grande Guerra’ di Monicelli, ambientato nella Prima Guerra Mondiale, o ‘Tutti a casa’ di Luigi Comencini?”
“Non ho visto questi film. Crescendo in America negli Anni 70 ho potuto vedere i film di Lina Wertmuller : ‘Pasqualino Settebellezze’ e ‘Travolti da un insolito destino’ sono i miei preferiti, hanno avuto un’enorme influenza nel mio apprezzamento dei film stranieri”
“Cosa pensi del film di Spike Lee ‘Miracolo a Sant’Anna’, sempre ambientato nel periodo della Resistenza? Personalmente l’ho trovato troppo melodrammatico e ho preferito l’asciuttezza del tuo film”
“Il film di Spike Lee mi è piaciuto molto. Ha un diverso appeal artistico e racconta un’altra storia che pochi conoscono e che trovo affascinante, il coinvolgimento della Buffalo Division nel Nord Italia. Spero che film come questi non creino controversie in Italia, ma sembra che il pubblico sia diviso, con molti che lo amano e molti che lo odiano”
“Dove hai girato il film?”
“Abbiamo girato in Pennsylvania, Massachusetts, nello Stato di New York, nel Connecticut e nel Nord Italia. La scena della fucilazione di Rossini è stata girata in un paesino delle Alpi, in alta montagna, che sembrava non fosse mai stato toccato dal tempo moderno. Il mio manager di produzione Frizzi Maniglio ha trovato questa bellissima location e siamo stati nella sua villa di famiglia a girare alcune scene. E’ stato un periodo magnifico per noi”
Oltre ai luoghi, sono perfetti anche i volti, gli attori, la parlata naturale e spontanea. E anche questa è una lieta sorpresa: non si sente pronunciare quell’italiano falso, quando non addirittura ridicolo, che spesso si ritrova nei film americani (il film è parlato in tedesco e italiano e sottotitolato in inglese) “Come hai trovato e diretto il cast?”
“Ho fatto il cast italiano in Italia. Abbiamo fatto le audizioni al Piccolo Teatro di Milano sotto la guida dell’attore italiano Fabio Sartor. Gli attori tedeschi sono stati trovati a Dusseldorf e a Berlino dove mi sono recato per le audizioni. Dopo che il cast è stato formato abbiamo fatto le prove subito in Europa, poi sono tornato a girare in America con gli attori. Ci sono voluti 5 anni per completare il lavoro. Fortunatamente ho sempre avuto con loro un buon rapporto e nessuno ha lasciato le riprese”
Ora “Last Letters from Monte Rosa” sarà anche portato a teatro.
“Ho appena firmato per distribuirlo a Teatro con una compagnia chiamata Juleswork Releasing. E finalmente il pubblico avrà una chance di vedere veramente il mio lavoro su grande schermo. E’ un sogno che diventa realtà. Spero che potrà essere presto visto anche in Italia”