
Imita in modo straordinario la voce di Tom Waits per raccontare come abbia accettato il ruolo con entusiasmo, senza neppure voler leggere il copione, una volta saputo che avrebbe interpretato il Diavolo. Ma nell’incontro con il pubblico milanese alla FNAC Terry Gilliam parla soprattutto di lui, Heath Ledger, che in “The Imaginarium of Doctor Parnassus” ha lasciato la sua ultima interpretazione. Un film che poteva restare interrotto dalla sua tragica scomparsa, o salvato dal digitale, o reinterpretato. Terry Gilliam ha voluto conservare il ricordo di Heath e dedicargli il film. Tre attori - Johnny Depp, Jude Law, Colin Farrell - hanno proseguito il suo ruolo, tre diversi volti del suo personaggio al di là dello specchio, una volta entrati nell’universo immaginario, onirico, ipercolorato, fantastico che è la mente di Parnassus, misto di sogni e incubi, regno dell’immaginazione sfrenata e rutilante dello stesso Gilliam.
Un espediente che sembra naturale e pensato in origine, come facente parte della sceneggiatura di base, giacché il film vive tutto di visioni fantastiche. “Molti hanno avuto la sensazione che il film fosse programmato per essere svolto così. I tre attori hanno studiato i movimenti di Heath, osservato le scene già girate, poi li ho gettati sulla scena. Johnny Depp è stato sul set un giorno e mezzo e sembrava che avesse affiancato Heath da settimane. Ed è strabiliante che abbia voluto inserire la battuta ‘Non sparatemi, sono il messaggero’ quando era stata proprio l’ultima battuta pronunciata da Heath. Colin Farrell ha detto che si sentiva un conduttore, come se Heath continuasse a recitare tramite lui”.
Anche la sceneggiatura ha dovuto essere riadattata, ma la trama è rimasta intatta “E anche molte battute che sembrano essere state inserite dopo, in omaggio a Heath, in realtà erano già scritte in origine, come il monologo pronunciato da Johnny Depp sul restare giovani morendo giovani. C’è poi una battuta che Christopher Plummer non se la sentiva più di pronunciare: le storie sono ciò che mantiene in vita l’universo, storie di commedia, di dolore o di morte imprevista. Ma in fondo questo è un film sull’immortalità. E se ho dovuto cambiare molto nella sceneggiatura era come se Heath, con la sua assenza, mi aiutasse a riscriverla”.
Una sceneggiatura nata da un vero lavoro a più mani tra Terry Gilliam e Charles McKeown, da una vera ridda di idee, accumulate e via via smistate dai due che se le rimpallavano via mail come in una partita di tennis “tanto che non saprei più distinguere cosa ho scritto e cosa lui e poi una sceneggiatura continui a rielaborarla finché il film non è concluso”. Ma è proprio in quest’abbondanza, in questo affastellamento continuo che sta il punto debole di Parnassus. Se in quanto ad immagini lo straripare ha una sua funzione di affascinante stordimento, a livello narrativo senti la mancanza di una solida base, il risultato di una storia che andata formandosi per via, stordita a sua volta dalle troppe idee.
Resta un film memorabile a livello visivo, un’allucinazione creativa che va dalle vie di una Londra moderna e grigia squarciata da un anacronistico e variopinto carrozzone teatrale, con traballanti a bordo i suoi improbabili narratori, all’ Imaginarium folle, il Paese delle meraviglie che accoglie chi passa attraverso lo Specchio. Le porte del Paradiso e dell’Inferno sono là, in un continuo bivio che richiede una scelta. Il regista che ha creato gli scenari onirici di “La leggenda del Re Pescatore” e “L’Esercito delle dodici scimmie”, in un film giocato sulle scommesse e sullo stupore, non poteva non porre a se stesso questa sfida. “Ci sono ben 650 inquadrature che hanno richiesto l’impiego di effetti speciali. Abbiamo anche impiegato il digitale per le scene al di là dello specchio, perché doveva essere un paesaggio interiore, e quindi non realistico”.