“Non
è un film politico, ma parla di esseri
umani che fanno politica” sottolinea
come prima cosa Daniele Luchetti alla presentazione milanese di “Mio
fratello è figlio unico”,
accompagnato dai due protagonisti Riccardo Scamarcio
ed Elio Germano, uno affascinante modello ed antagonista
dell’altro fratello in perenne ricerca di
un’identità. Ed è infatti
sui loro contrasti e sulla confusione ideologica
del fratello minore, che chiede solo affermazioni
per sentirsi amato, che fa leva il film sul cui
sfondo scorre la vita politica dei primi Anni
Sessanta. “Il tema esplicito è
quello dell’ideologia, il tema segreto è
quello della famiglia all’interno della
quale è difficile farsi vedere, ed è
poi il tema portante. Tutto ruota intorno all’estraneità
e alla difficoltà affettiva e comunicativa”.
Liberamente tratto dal romanzo “Il fasciocomunista”
di Antonio Pennacchi e passato attraverso infinite
variazioni di sceneggiatura (in alcune era anche
proposto un differente finale, qui si conclude
con un gesto di “ribellione costruttiva”
che ricorda quello di “Il Portaborse”)
il film di Luchetti – nel quale Elio Germano
dà una prova di bravura assolutamente straordinaria
ma lasciano il segno anche “attori non protagonisti”
come Luca Zingaretti (il “maestro”
di fascismo) e Angela Finocchiaro (la madre) e
i dialoghi sono, a dir poco, perfetti –
indaga su un nostro periodo storico meno frequentato
dal Cinema, che va più spesso all’interno
dei veri “Anni di Piombo” mentre qui
siamo al loro preambolo, con una ricostruzione
quasi atemporale e priva di stereotipi e una rievocativa
colonna sonora.
“Quando ho letto il libro ho avuto una
strana fascinazione: c’era la possibilità
di raccontare una finestra storica abbastanza
atipica, dal ’63 ai primi Anni 70 cioè
il periodo precedente i fatti di sangue (anche
se l’episodio di sangue finale è
indispensabile per raccontare un’epoca),
e il personaggio di un giovane fascista che non
ha conosciuto direttamente il fascismo. Man mano
che il lavoro procedeva c’era il pericolo
di renderti ridicolo al pubblico di oggi restando
troppo fedele o al contrario di essere incomprensibile,
per cui ho lavorato sulla forte connotazione umana”
racconta Luchetti. Ed Elio Germano aggiunge “Naturalmente un lavoro su
quel periodo c’è stato, abbiamo visionato
del materiale cercando di cogliere le differenze
di quella generazione rispetto alla nostra, ma
poi abbiamo voluto dimenticare la ricostruzione
storica per evitare di “raccontare”
i giovani degli Anni 60. Li abbiamo trattati come
personaggi contemporanei perché si avvicinano
alla politica per emulazione, in cerca di un’identità
attraverso delle maschere. Il solo fatto che vivessero
a Latina li ha resi degli estranei, gente che
ha vissuto il ’68 mangiando i quadrucci
in brodo della mamma. Accio si pone delle domande
e cerca le risposte nelle maschere e nei vestiti
e solo alla fine trova la strada giusta nelle
persone che gli sono vicino.”
Il mingherlino Germano è credibilissimo
nel ruolo di picchiatore. “Come l’ho
visto l’ho trovato perfetto. L’ho
scelto per quel suo guizzo d’intelligenza
sempre presente e veder sbagliare una persona
intelligente è più interessante
che veder sbagliare una persona ottusa –
dice Luchetti – E Riccardo possiede
il dono della fascinazione per cui, al fianco
di Manrico, Accio si sente sempre escluso”.
E ci auguriamo che lo straordinario successo di
cui sta godendo Riccardo Scamarcio contribuirà ad avvicinare ad un Cinema
intelligente anche un pubblico di giovanissime,
innamorate dei suoi fantastici occhi azzurri (e
Scamarcio è davvero di una bellezza non
comune nel Cinema Italiano). E’ quanto si
augura lui stesso “Questo è un
film emozionante, quando lo vedo resto commosso,
e spero che possa instaurare nei ragazzi una riflessione
più profonda, mostrando le spaccature di
quegli anni”.
Riccardo Scamarcio,
Elio Germano e Daniele Luchetti alla presentazione
milanese di “Mio fratello è figlio
unico”. Foto di Gabriella Aguzzi