
Le
macchiette più amate di Carlo Verdone tornano
a grande richiesta. Assomigliano in tutto e per
tutto ai personaggi di “Viaggi di nozze”,
invecchiati dal tempo e dalla volgarità
che sta loro intorno, anche se non sono loro (per
il nome, la moglie, la professione), ma a loro
uguali nei tic, così come il pubblico li
reclamava.
“Il film nasce da una valanga di richieste
per il ritorno dei miei personaggi storici. Io
sto proseguendo una commedia fatta di toni più
pacati e intimi e consideravo il discorso chiuso
con ‘Viaggi di Nozze’, ma di fronte
ad una richiesta così eterogenea e insistente
non potevo tirarmi indietro. Allora ho pensato
come estrarre il DNA di quei caratteri e farlo
maturare, contrapponendolo alla realtà
di oggi.
Come primo cambiamento non ho voluto intrecciare
gli episodi ma lasciare che si contraddistinguessero.
Il primo episodio è favolistico, surreale,
il secondo sembra una pagina di un racconto inglese
oscuro, il terzo rispecchia la realtà odierna.
Ne è uscita una commedia cattiva, tragica,
ho raccontato la volgarità e il malcontento
dei nostri giorni, ed è uscito il vetriolo”.
Se, come dice il produttore De Laurentis, la comicità
vera nasce dalla tragicità della situazione,
esorcizzando le paure, e questo era il segreto
della grande commedia all’italiana, purtroppo
nell’ultimo film di Verdone, ciò
resta vero solo nei propositi. Se, come attore,
resta sempre irresistibile nella caratterizzazione
dei suoi personaggi clou (e anche Claudia Gerini
riprende felicemente il riuscito personaggio cafone)
e se alcune battute da lui pronunciate innescano
subito il meccanismo comico, come regista e sceneggiatore
Verdone sembra aver un po’ perso per strada
il mordente, la spontaneità e il ritmo
dei primi film. Certo gli non difetta la cattiveria
(in particolare i primi due episodi, mentre il
terzo sfocia nel moralismo), ma l’insieme
è fiacco, le situazioni prevedibili e scontate.
Eppure qualcosa giustifica sempre il successo
dei suoi personaggi
“Sono sempre attuali nel loro temperamento.
Il loro candore o cinismo è legato a tutto
il Paese, anche se parlano in romanesco, sono
delle tipologie immortali di carattere. Viviamo
in un mondo cinico, vuoto, basato sui valori materiali,
e loro ne sono il frutto.”
Superato il periodo ipocondriaco, Verdone li ritrae
nella loro bassezza con assoluto autocontrollo.
“Con ‘Maledetto il giorno che
t’ho incontrato’ ho fatto un lavoro
di autoanalisi in pubblico che mi ha molto aiutato.
Nell’interpretare il professore credo di
aver dato una forte prova di serenità,
fronteggiando un personaggio che più di
tutti incarna la grande volgarità. E’
lui quello da cui si deve fuggire”.
Soddisfatte le richieste del pubblico, ci auguriamo
di ritrovare presto il Verdone agrodolce che è
stato distratto dal suo percorso.