Con “Shadow” di Zampaglione rivive l’horror italiano

07/05/2010

Annunciato come “la rinascita dell’horror italiano” e preceduto dallo slogan “la realtà può essere più malata degli incubi”, il nuovo film di Federico Zampaglione arriva attesissimo da chi pregusta brividi e terrore autentico. Aspettative che non delude, riservando sorprese da mozzare il fiato: “Shadow” è un horror in piena regola, teso e violentissimo, un “incubo nell’incubo”, per stomaci forti che non temono un viaggio nella galleria degli orrori. Un ritorno al film di genere che, per assurdo, scompiglia tutti gli schemi del genere, che ripercorre e mixa i luoghi comuni dell’horror (i boschi, il maniaco omicida, il mistero nascosto, l’orrore reale e quello soprannaturale) riuscendo a non essere convenzionale in nulla, ma sorprendente e inatteso. Fino ad un finale che sovverte tutto proiettandolo in una differente prospettiva e dando all’horror una tonalità dolorosamente drammatica.
“Avrei potuto scegliere un finale in cui lui e lei sfuggono al pericolo ed ecco spuntare la mano di Morthis: tutti pronti per Shadow 2! Ma no, ho voluto dire che l’horror ce l’abbiamo intorno” dice Zampaglione all’anteprima milanese organizzata con la collaborazione di Nocturno Cinema.
Nuovo a partire dalla scelta degli attori, riunendo interpreti americani (che hanno provato la curiosa emozione di ascoltarsi doppiati in italiano) come il sensibile protagonista Jake Muxworthy ad attori italiani, come si usava negli Anni Sessanta, e scoprendo l’inquietante volto di Nuot Arquint che interpreta Morthis, il macellaio torturatore tanto spaventoso da diventare il simbolo stesso della Morte.
Ritmato a suono di rock, con la musica protagonista a precedere il terrore, con un montaggio incalzante, con bagliori accecanti là dove la violenza si fa più aberrante. “Abbiamo lavorato su qualcosa di impalpabile agendo sullo stato d’animo dello spettatore per tenerlo in tensione. Alcune scene sono state girate già con la musica di sfondo”. Girato nei boschi friulani (il cast ricorda le scene girate in un clima ostile, a -17 gradi, nella suggestione di sorprendenti paesaggi nebbiosi) e coraggiosamente prodotto da Massimo Ferrero che ha visto nel film di Zampaglione un’opera nuova e ha offerto al pubblico qualcosa che, finalmente, non è l’ennesimo film “carino”.
“Il film è nato quando ho letto la storia di soldati americani che tornati dalla guerra si sono suicidati perché non reggevano il ricordo di ciò che era loro successo e ho pensato a cosa la tua mente può partorire. Ho poi voluto destrutturare la visione buoni/cattivi, perché in guerra anche i ‘buoni’ si ritrovano a commettere azioni orribili”.
Ed ecco così un horror della mente che dalle iniziali paure tangibili si proietta in una dimensione irrazionale.

Ma cos’ha spinto il leader dei Tiromancino a girare il suo secondo film così diverso dal precedente? “La passione per questo genere cinematografico. Da ragazzino sono cresciuto con i film di Fulci, Argento, Bava e poi ho visto questo genere declinare e sparire, ma quelle atmosfere mi hanno influenzato anche musicalmente. Del mio primo film “Nero Bifamiliare” che era una commedia nera, mi piacevano le parti più dark e così ho deciso di mettermi in gioco raccontando una storia dai toni molto più cupi.”
Una storia che è anche un omaggio ai ricordi cinematografici che hanno nutrito il suo passato cinefilo. “Ho sempre avuto una grande ammirazione per Lucio Fulci, lo considero un poeta della sofferenza. Molti film che ho amato e che mi hanno spaventato sono legati ai ricordi della mia adolescenza, delle arene estive al mare in cui venivano proiettati. L’horror mi ha influenzato fin da bambino, da quando mio padre mi ha portato al luna park nel tunnel degli orrori, mi riporta alle mie paure di bambino. E per girare un horror devi tornare indietro nel tempo e ricordare le cose che ti inquietavano”.
Paure e ricordi che inconsciamente si mescolano e riappaiono in “Shadow”, con citazioni mai fini a se stesse “E’ un po’ quello che mi è successo con la musica: ascolto tante cose e poi mi accorgo che in qualche modo mi hanno ispirato. L’horror è una grande energia e finisci col ritrovarti in quegli stilemi e quel linguaggio. Ho voluto richiamare l’horror di quegli anni, pessimista, plumbeo, ma le citazioni sono nate in modo naturale, non calcolato”.

Gabriella Aguzzi