
Difficile raccontare qualcosa di “Una Vita Tranquilla”, il film di Claudio Cupellini, senza rovinare la visione agli spettatori. E’ un film che non può lasciare indifferenti: ti cattura mentre lo guardi, ti rimane dentro a schermo riacceso e suscita una infinità di considerazioni. Evitando quelle più strettamente legate al film (il nostro voto è decisamente 8), per i motivi citati sopra, una considerazione è legata al cinema vero e proprio e a quanto deve al teatro. Il mondo anglofono ci ha abituato ad attori di cinema che conoscono una seconda giovinezza sul palcoscenico, qui invece succede l’opposto, perché tutti gli interpreti di Una vita tranquilla hanno un lungo passato teatrale. Addirittura Marco D’Amore dopo dieci anni di palcoscenico – ha lavorato in Macbeth con la compagnia Le belle Bandiere, molto nota nel teatro di ricerca e dal alcuni anni lavora nella Trilogia della Villeggiatura con Servillo – è qui al debutto cinematografico, che lui stesso definisce «molto complesso, anche nei silenzi. Ha più di un segreto e mente a molti: all’amico, al padre, tiene segreti i propri sentimenti, finchè non grida al padre “perché non mi hai portato con te?”».
Ancora più forte è il rapporto di Toni Servillo con il teatro, che definisce «il mio mestiere principale». Con oltre trent’anni di palcoscenico, dal 2007 sta portando in tourné la Trilogia della villeggiatura, lo spettacolo di cui cura la regia ed è anche interprete (con lui anche Marco D’Amore) e che sta avendo giustamente un gran successo. Uno spettacolo che sa offrire allo spettatore tante letture – come avviene anche in questo film – e in cui tutti i particolari sono funzionali, contribuendo ad accrescerne il fascino. Di Servillo è anche la più bella definizione sul rapporto tra teatro e cinema: «sono come marito e moglie che devono dormire in camere separate»