Mauro Bolognini, talento sensibile del cinema letterario italiano
14/05/2011

“Mauro è stato il mio scopritore e talent scout, come si dice oggi: colui che ha creduto in me dandomi la chiave per entrare dalla porta grandissima del vero cinema italiano, quello che ci fa onore all’estero. Io devo tutto a Mauro: se stiamo qua a parlarci oggi è grazie a Metello, cui sono seguiti Bubù e Imputazione di omicidio per uno studente. Mauro amava tanto quel romanzo di Pratolini che all’epoca non conoscevo: poi però io ho letto il libro e devo dire che in alcuni momenti il tratto pittorico di Mauro forse era anche più incisivo di alcuni passaggi del testo. Come regista era molto esigente, un grandissimo esteta: un giorno stavamo girando la mia partenza per il servizio militare e andavo a salutare Viola, interpretata da Lucia Bosè, e siamo rimasti credo una mezz’ora per una luce che non inquadrava bene delle rose che stavano su un comò. Siamo agli eroi del cinema, ad un'altra epoca: oggi col ciarpame che c’è in giro una cosa del genere diviene quasi inconcepibile, ma così si faceva il cinema, e poi queste cose Mauro inevitabilmente le ha trasmesse a me, come poi Strehler o Peppino Patroni Griffi. Come uomo era meravigliosamente sensibile ed attento ai suoi amici e alle cose che gli accadevano intorno, ma soprattutto era molto generoso con le persone cui voleva bene”.
A dieci anni dalla scomparsa con queste sentite ed affettuose parole Massimo Ranieri ricorda il grande regista toscano Mauro Bolognini: ma vediamo di approfondire la sua figura con il celebre critico cinematografico Alberto Pezzotta, autore tre anni fa insieme a Pier Maria Bocchi di una monografia del Castoro a lui dedicata.

Gli innamorati (1955) e Giovani mariti (1957): qual'è il contributo di Bolognini al bozzetto tardo neorealista?
“I film di Bolognini sono meno rosei dei vari Pane, amore e fantasia e Poveri ma belli, i personaggi sono più problematici (c'è anche una ragazza liberata come la protagonista di Marisa la civetta), l'occhio più realistico (vedi la topografia romana di Gli innamorati, tra centro e periferia). All'epoca non se ne accorse nessuno, al massimo ci fu Marotta che si turbò per le scollature d Marisa Allasio. Con Giovani mariti l'attenzione si sposta alla borghesia, si perde la fiducia e la retorica populista, e il tono è ancora più sfumato e amaro. Giovani mariti anticipa la disillusione di La rimpatriata di Damiani”.
La notte brava (1959), Il bell'Antonio (1960), La giornata balorda (1960): quale svolta segna per Bolognini l'incontro con Pasolini sceneggiatore?
“Pasolini diede un contributo già a Marisa la civetta e Giovani mariti. La notte brava e La giornata balorda rappresentano la scoperta del sottoproletariato romano, già sfiorato da Bolognini in Gli innamorati: un modo di guardare dal basso all'Italia del boom incombente. Pasolini porta nel cinema di Bolognini un ampliamento di temi e situazioni, trovando un regista già molto ricettivo. Ci fu affinità elettiva e completamento a vicenda. Il bell'Antonio è un film più tradizionale che sconta la derivazione letteraria, ma i temi (gallismo, maschilismo, ipocrisia) sono forse più vicini al regista che allo sceneggiatore”.
I detrattori di Bolognini trovano che il suo impegno letterario si stemperò poi troppo spesso in gusto calligrafico, con film come Senilità (1962), Agostino (1962), Bubù (1971), Per le antiche scale (1975), L'eredità Ferramonti (1976): Lei che ne pensa in merito?
“Calligrafico un corno! Agostino venne ritirato subito dalla circolazione, dava fastidio la rappresentazione della sessualità del preadolescente, altro che calligrafico. L'accusa di calligrafismo servì alla critica a sminuire e disinnescare film che parlavano di temi scomodi in modo poco compiacente. Come diceva Moravia: Bolognini non ama la società del passato che rappresenta nei suoi film. Nessuno vorrebbe vivere nel modo di L'eredità Ferramonti o di Bubù. Visconti amava il passato, Bolognini no, gli serviva per trovare le radici del presente: quindi non è calligrafico”.
Quali elementi accomunano due film come La viaccia (1961) e Metello (1970)?
“L'ambientazione toscana? Il richiamo alla pittura dei macchiaioli? L'origine letteraria? Per il resto vale quello che ho appena detto sul senso del passato per Bolognini”.

Imputazione di omicidio per uno studente (1972), Fatti di gente per bene (1974), Libera, amore mio! (1973), La storia vera della Signora dalle camelie (1981), La Venexiana (1986), Mosca addio (1987) e La villa del venerdì (1991): che cosa troviamo delle tematiche costanti di Bolognini negli altri suoi film?
"Ci sono film fatti su commissione e altri più sentiti, come accade nella filmografia di qualunque regista. Diciamo che Libera, amore mio! è uno dei film a cui Bolognini teneva di più, e che non ebbe successo: chi aveva voglia di sentirsi raccontare del fallimento della stagione della Resistenza, nell'Italia prossima agli anni di piombo? Dopo La storia vera della Signora delle camelie, i film di Bolognini perdono interesse, come tutto il cinema italiano di quel periodo. Gli autori invecchiano, la società ristagna, i produttori coraggiosi (pensiamo a un Bini...) non ci sono più, la televisione fa sentire le proprie ragioni di committente”.
Come mai negli anni Novanta Bolognini si è dedicato anche alle regie liriche, fra le quali quella allestita per il Pollicino di H. W. Henze (1995)?
“Bolognini cominciò negli anni Sessanta a fare regie liriche. Era uno dei suoi interessi di uomo di vasta cultura”.
Cosa rimane di Mauro Bolognini a dieci anni dalla scomparsa?
“Rimane l'incapacità di tanta critica, cinefila e accademica, di fare i conti con un'opera che ha attraversato e commentato in modo critico e impietoso l'evoluzione della società italiana. Per capire gli anni Sessanta un film come La corruzione è importantissimo. Bolognini è stato occultato sotto le etichette (‘calligrafo’, ‘regista di film in costume’, ‘divulgatore di Pasolini’). Non è abbastanza di genere per interessare i cultori del trash, non è abbastanza ‘autore’ (ma questo è un pregiudizio) per essere preso sul serio da chi studia solo Antonioni, Fellini, Visconti e Pasolini. Di certo è un regista che ha sempre dato fastidio, anche per le riflessioni che ha sempre fatto sulla sessualità, e che ancora oggi si cerca di ignorare”.
Alessandro Ticozzi