Presentato a Roma lo scorso 23 gennaio, presso il cinema Adriano, ACAB esce nelle sale italiane in circa 300 copie venerdì 27 gennaio.
Stefano Sollima, regista di Romanzo Criminale – La Serie, esordisce nel campo cinematografico con un film che sta già facendo discutere molto. ACAB nasce dal romanzo omonimo di Carlo Bonini -edito da Einaudi- basato su una storia vera. Cobra (Pierfrancesco Favino), Negro (Filippo Nigro) e Mazinga (Marco Giallini) sono tre “celerini bastardi”; Carletto (Andrea Sartoretti) è un ex poliziotto; Adriano (Domenico Diele) è una giovane recluta appena aggregata al loro reparto. Il racconto delle loro vicende personali si alterna con spedizioni punitive, manifestazioni di operai, sgomberi di campi nomadi, scontri con gli ultras e ricordi dolorosi sul G8 e in particolare sulla scuola Diaz.
All’inizio della conferenza stampa, subito dopo la proiezione, Sollima ci tiene a precisare che per il film il reparto mobile della Polizia di Stato non ha dato nessun contributo, né con le auto, né tantomeno fornendo spazi o caserme, ma che comunque non ha mai ostacolato la produzione, neanche nelle scene davanti al Viminale e al Parlamento.
Agli attori viene chiesto di parlare del loro rapporto con i personaggi che interpretano e della preparazione che hanno dovuto affrontare. Favino infatti spiega come sia stato importante l’allenamento fisico e sportivo per interpretare ad esempio le scene delle cariche, aspetto confermato anche dagli altri attori che si sono soffermati molto sulla preparazione fisica. Allo stesso modo Sartoretti, Favino, Nigro, Diele e Giallini hanno confermato di avere avuto pregiudizi sul reparto mobile, ma di aver avuto anche -grazie al film- la possibilità di arricchire le loro opinioni con altri strumenti.
Nel film vengono trattati anche alcune vicende avvenute in Italia negli ultimi anni, come la morte dell’ispettore Raciti e di Gabriele Sandri, l’omicidio della Reggiani (seguito da rappresaglie contro i rumeni) e ovviamente il caso più terribile del G8 di Genova e della scuola Diaz, che però aleggia soltanto nei pensieri e nei ricordi dei tre celerini e non viene mostrato. Sollima spiega che non ha voluto aggiungerlo nelle scene poiché è un caso che merita un’attenzione particolare e che in realtà quello che gli premeva raccontare era l’odio e l’intolleranza all’ordine del giorno, nelle storie più piccole e quotidiane.
Nel film non ci sono eroi, il cameratismo è parte integrante dei tre protagonisti, che si considerano fratelli e che sono in realtà dei perdenti, inutilmente violenti in un paese sempre più attraversato dall’odio. Allo stesso tempo però è anche un film che racconta le vite alquanto disastrate di questi uomini che sono convinti di lavorare per la legalità, che hanno scelto quella vita proprio per senso del dovere (e non per lo stipendio), ma che troppo spesso cadono e cedono alla violenza.
ACAB è un buon film, girato con cura e attenzione, con un’ottima colonna sonora -che va da “Police on my back” dei Clash a “Seven Nation Army” dei White Stripes- e interpretato da attori molto bravi. Un film che merita di essere visto anche perché racconta un’Italia diversa.