Dopo mesi di attesa tra conferme e smentite, i fan della leggendaria band britannica hanno potuto farsi ammaliare ancora una volta, quasi certamente l’ultima, dalle meravigliose melodie di Gilmour & Co.
E’ uscito infatti l’8 novembre il nuovo attesissimo album dei Pink Floyd, The Endless River, omaggio al tastierista Richard Wright scomparso a solo 65 anni nel 2008 e che ha rappresentato un pezzo di storia della band senza il quale, probabilmente, non sarebbe stata ciò che ha rappresentato.
Infatti, le tastiere di Wright hanno connotato profondamente le musicalità del gruppo segnandone più di tutti l’epoca leggendaria. Basti pensare che The great gig in the sky, forse il brano più suggestivo di The dark side of the moon, era opera sua.
“Ascoltare il suo modo di suonare, adesso che se n’è andato”, ha affermato Mason, “ti permette davvero di capire che meraviglioso musicista fosse”.
“Non ci si rende mai conto di quello che si ha fino a che non lo si perde”, ha aggiunto Gilmour. “Ci siamo scontrati e abbiamo lottato, ma quello che stiamo facendo è più forte delle parole. La somma di noi, il battito dei nostri cuori, è più forte delle parole”, ha proseguito citando il testo di Louder than words.
Il nuovo album rappresenta davvero l’ultima chicca che i Pink Floyd hanno voluto regalare ai propri fan con sonorità ricercate e raffinate, come sempre oniriche e visionarie, puntando solo ed esclusivamente su brani musicali tratti da alcune jam session.
Il progetto nasce nel 2013, è diviso in quattro parti e rappresenta un’opera assolutamente monumentale realizzata riascoltando gran parte delle registrazioni di Division Bell dove Mason, Gilmour e Wright suonano liberamente presso gli studi Britannia Row e Astoria.
Unico brano vocale è Louder than words che, sempre a detta di Gilmour, riassume tutta l’essenza della musica della band ed il cui testo è stato scritto da Polly Simson, compagna dello stesso.
Altra novità di un certo effetto è la comparizione della voce dell’astrofisico Stephen Hawking nel brano Talkin Hawkin che, lo ricordiamo, ebbe già una simile esperienza nell’album Division Bell e che conferma che le nuove tracce altro non siano che la prosecuzione di quelle sonorità.
I brani dell’album di commiato sono 18 e, lo ribadiamo, tutti ad eccezione di uno, assolutamente strumentali.
“Abbiamo ascoltato oltre 20 ore di musica suonata da noi tre e abbiamo selezionato le cose su cui volevamo lavorare per questo album”, ha raccontato Gilmour.
“Nel corso dell’ultimo anno abbiamo aggiunto delle parti nuove, ri-registrato delle altre e reso attuale la vecchia tecnologia di studio di allora: volevamo realizzare un nuovo album dei Pink Floyd da ventunesimo secolo”, ha concluso.
Insomma un lavoro decisamente impegnativo certamente destinato ad alimentare l’eterna diatriba tra i sostenitori di Gilmour (e ciò che resta della band) ed uno dei suoi leader carismatici, quel Roger Waters che ha affermato che non ascolterà nemmeno l’album e che in una nota si è subito affrettato a smentire una sua collaborazione al progetto; ciò a dimostrazione che gli antichi dissapori sono ancora ben lungi dall’essere superati in via definitiva.
Un ultimo accenno va alla cover del disco che, come tutto ciò che riguarda la band non è un dettaglio ma parte del tutto.
L’immagine surreale, mistica e significativa in puro stile Pink Floyd è stata creata da Ahmed Emad Eldin, un artista digitale egiziano di soli 18 anni.
Ritrae un uomo che rema su un fiume di nuvole in direzione del sole prestandosi a varie interpretazioni (l’addio, l’al di là con riferimento a Wright e Sid Barret??) ed è apparsa in dieci città nel mondo inclusa Milano, dove un poster di 500 metri quadrati ha avvolto un prestigioso palazzo degli anni ’20. A Londra, invece, la copertina è stata riprodotta su una installazione cubica illuminata alta 8 metri a South Bank.
Un ultimo grazie di cuore, dunque, ad un gruppo che ha fatto sognare ed amare più di una generazione toccando con atmosfere magiche le più recondite corde del cuore.