
Una delle doti innegabili di Steven Spielberg, è quella di saper prendere una storia vera e tramutarla in un thriller mozzafiato. Oggi, in piena ripresa, seppure camuffata, di guerra fredda, recupera una vicenda ambientata nel 1960, col primo scambio di spie tra USA e URSS, con la Germania Est a far da terzo incomodo. Non è uno spy-movie, ma un film che parla di spie, diplomazia, scelte morali; inizia coi toni e i temi del legal-thriller, per poi portarci nella grigia e innevata Europa dell'est vista con gli occhi di un americano tutto di un pezzo, un agente assicurativo catapultato in una situazione più grande di lui, che riesce a sbrogliare grazie alla propria caparbietà. È il classico eroe spielberghiano, contrapposto ai cinici e prammatici agenti CIA, ovviamente – vien da dire – interpretato da Tom Hanks (in alternativa avrebbe potuto essere Harrison Ford, ma forse ancora troppo belloccio per il ruolo). Curioso notare come i prigionieri americani non abbiano il minimo spessore psicologico, mentre il personaggio che più si staglia nella memoria è il sovietico Rudolf Abel, anche grazie alla bellissima interpretazione dell'inglese Mark Rylance.

Il film, che verrà presentato in anteprima italiana in conclusione del XXV Noirfest di Courmayeur prima di esordire il 16 nelle sale, è dunque un solido thriller di mestiere, illuminato meravigliosamente bene e con una precisa ricostruzione storica attraverso ambienti e costumi; è lievemente ironico, appassionante, a tratti commovente e non fa sentire in alcun modo le due ore e mezza di durata. Ma ha pure un tocco in più, che si può vedere nei quadri dipinti da Rudolf: un gioco di specchi, di rimandi, di gioco tra vero e falso. Sceneggiano i fratelli Coen, e con tutto il rispetto per il grande Spielberg rimane la curiosità, se non il rimpianto, di non vederlo diretto da loro.