La mia generazione lo chiama ancora Cassius Clay. Era il più grande di tutti. Coi suoi “balletti” Muhammad Alì (nella scrittura italiana era semplificato in Mohamed Alì) ha cambiato l'estetica della boxe: volava come una farfalla e pungeva come un'ape, ricordate il motto che lo accompagnava? In un'epoca in cui i media e il look non avevano tutta l'importanza che hanno oggi lui è stato un personaggio a tutto tondo: un campione sul ring, ma un combattente anche nella vita. E poi bello, gigione, arrogante: le telecamere erano tutte per lui, i suoi incontri erano eventi, portando la boxe a diventare uno sport popolare quasi quanto è oggi il calcio ( e quando ha smesso, quanto è decaduta).
Oggi è rimpianto anche per quella parte di vita vissuta lontano dal ring in cui si è fatto portavoce di cause civili e ha per anni sfidato la malattia neurologica degenerativa, però preferisco ricordarlo sul quadrato. Quel momento magico, che in qualche modo “cinematografico” riassume la sua esistenza, in cui è all'angolo e, mentre ti aspetti che vada al tappeto, reagisce e con un solo colpo manda ko l'avversario. Leggendario.
Un nostro ritratto di Mohamed Alì pubblicato il giorno del suo settantesimo compleanno