Ballad in Blood al Museo del Manifesto Cinematografico

10/02/2017

Domenica 5 febbraio 2017 Il Museo del Manifesto cinematografico ha chiuso con la proiezione di Ballad in blood , di Ruggero Deodato, unica versione fino ad ora proiettata in lingua italiana e integrale nel nostro Paese.
Un piccolo evento tra gli appassionati, voluto e organizzato dallo staff di Bloodbuster, nell’ambito di numerose rassegne sul cinema di genere, che grazie alla sinergia e alla collaborazione del museo, ha potuto avere luogo nella sede di via Gluck a Milano. Platea improvvisata con sedie in plastica, megaschermo, copia personale della pellicola portata dal regista, presente al successivo dibattito. Pubblico accorso come una fiumana, a testimonianza, forse, che un certo cinema manca nelle sale in Italia e lo si desidera, a dispetto delle politiche distribuitive attuali che valorizzano solo la commedia o il cinema d’oltreoceano.
Deodato, famoso per il suo “otto e mezzo”, ovvero Cannibal Holocaust, sequestrato e proibito per mezzo mondo fino alla sua completa rivalutazione come oggetto di culto, di cannibalico e di malvagio non ha proprio nulla; è un signore ormai anziano, ma giovanile, energico, distinto e assai spiritoso, rassicurante.
Rifiuta l’appellativo di regista dell’horror e si complimenta per il locale che ospita il suo film e che purtroppo verrà chiuso (a tal proposito è in corso una trattativa col comune e c’è in ballo una petizione di firme per far sì che il Museo possa essere trasferito in qualche altra location alternativa ed evitare la chiusura definitiva).
Ballad in Blood , uscito già un anno fa  e presentato in anteprima al Lucca Film Festival,  non tradisce il marchio di fabbrica Deodato, ripropone la proverbiale estetica pulp del disgusto, con graffiante ferocia e mancanza di inibizioni verso lo spettatore nel rappresentare il sesso, la violenza e il macabro.
Ballad in blood (geniale anche l’assonanza per il gioco di parole, “ballad in blad”) esplora nuovamente i territori più conturbanti e violenti dell’animo umano, adattando il soggetto alla vicenda del delitto di Perugia. L’operazione si rivela originale, perché pur partendo da un fatto di cronaca ben riconoscibile dai personaggi e dai fatti narrati, Deodato riesce a “gotificare” la messinscena con inserti fantastici e inquietanti, uno su tutti la presenza di un gatto nero che fa da contrappeso al crudo realismo, un gruppo di teppisti acconciati in stile new-romantic anni ’80 o le maschere carnevalesche durante la festa di Halloween.
Ne consegue una serie di sequenze spesso surreali (con qualche buco di sceneggiatura che rivela una certa incomunicabile autoreferenzialità) che descrivono la storia del terzetto di criminali alle prese con l’occultamento del corpo di Elisabeth (ovvero Meredith), tra passato, presente, allucinazione e realtà. E’ una sorta di videoclip del macabro e dell’osceno, un girotondo di cadaveri, con accelerazioni e decelerazioni, scandite dai nefasti effetti degli stupefacenti consumati dai protagonisti.
Davanti al suo pubblico,così Ruggero Deodato racconta com’è nata questa sua ultima fatica, a distanza di ben ventiquattro anni: Da un po’ di tempo i miei fan  mi chiedevano di tornare a fare un grande film con le “mani”, non con i computer. Avevo grande timore di ricominciare, di ributtarmi nella mischia. Che facevo? Di nuovo un film sui cannibali? Un film di finzione?Ho preferito occuparmi di altro. Dovevo trovare un fatto di cronaca che mi piacesse e questo fatto di cronaca (l’omicidio Meredith, n.d.r) mi ha “attizzato” perché è durato tanto, ho avuto modo di approfondirlo, avendo anche una casa in Umbria. Era anche molto cinematografico: la ragazza era bellissima, coinvolto un nero, la lingua inglese, un fatto internazionale. E quindi ho scritto un soggetto e poi la sceneggiatura. Inizialmente dovevamo ambientare il film a Torino, ma poi la cosa è saltata, perché a Torino non stati capaci di fare una bella film commission. Cambiando film commission, ho fatto i casting e scelto Orvieto. Un giorno sono andato alle poste e ho scelto per caso un nero di Harlem, non aveva mai recitato prima, era assetato di cominciare, ma diceva anche: “come faccio? Non so recitare”…Gli ho detto: “se fai come ad Harlem allora sai recitare”. Ci ho messo anche delle tarantinate in questo film (…), però, attenzione, vuole essere anche un film d’autore.
Assieme al “nero di Harlem”, che si chiama Edward Williams ci sono anche altri attori non conosciutissimi, tutti molto bravi, quali Carlotta Morelli, Noemi Smorra (Elizabeth) e l’ambiguo Roger Garth; il ritorno di Claudio Simonetti alle musiche e buoni effetti speciali.
Facciamo quindi gli auguri a Deodato che abbia presto una distribuzione almeno in dvd, ma soprattutto al Museo del Manifesto che trovi quanto prima una location alternativa per continuare la sua attività, benefica per il cinema e la cultura.

Carlo Lock