
Diciamo la verità. Per chi ha cominciato a capire qualcosa (poco) di cinema verso la fine degli anni Settanta, il primo incontro con George Romero non è legato all'epocale La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead), del 1968, ma a Zombi (Dawn of the Dead), realizzato esattamente un decennio dopo. La fulminante visione di questo capolavoro disperato, visionario, apocalittico, gore ma anche ironico, ambientato in un centro commerciale assediato dai morti viventi, avvenne (nonostante il divieto ai minori di 18 anni) nel 1981 in un teatro che lo proiettò nell'ambito di una rassegna estiva dedicata alla fantascienza e all'orrore (tra gli altri titoli programmati dagli illuminati organizzatori pezzi da novanta come Lo squalo, Shining, L'esorcista II – L'eretico, L'ultima odissea, Amityville Horror). Il regista era, sempre riferendoci agli spettatori più giovani e sprovveduti, quasi uno sconosciuto. Consideriamo che La notte dei morti viventi da noi risultava diretto da un non meglio precisato George A. Kramer. E naturalmente nemmeno si sapeva che Zombi rappresentava il secondo capitolo di un’epopea in divenire. Internet ancora non esisteva e le notizie sui film in uscita erano poche se non pochissime, figurarsi nel caso di un un’opera tutto sommato marginale. Ci si doveva accontentare dei prossimamente, delle foto fuori dai cinema, delle locandine. Se teniamo conto che in quel periodo il materiale in questo senso era quasi sempre di eccelsa qualità e che la locandina di Zombi lo era ancora di più (con la celebre frase di lancio “Quando non ci sarà più posto all’inferno i morti cammineranno sulla terra”), si può immaginare l’effetto che poteva avere sull’appassionato. Non sul cinefilo, perché è probabile che il cinefilo dell’epoca non andasse a vedere i film del terrore prodotti da Dario Argento (diversamente da oggi, in cui si scrivono saggi su qualsiasi cialtrone). Comunque, per arrivare al punto, chi cominciava allora a interessarsi all’immaginario cinematografico fantasy e horror conosceva più Argento di Romero, e Romero lo avrebbe apprezzato col tempo, vedendo Creepshow, del 1982, e Il giorno degli zombi (Day of the Dead, uscito in Italia nel 1986). Fino a che, in vari casi, sarebbe seguito il recupero (difficoltoso) delle pellicole precedenti: La notte dei morti viventi, appunto, e poi La città verrà distrutta all’alba (The Crazies, 1973), Wampyr (Martin, 1977), eccetera. Ecco dunque che a quel punto si poteva cominciare a comprendere l’importanza del regista di Pittsburgh, seguire l’evoluzione della sua filmografia e riconoscere la mano di un autore che in quasi cinquant’anni di carriera ha girato solo quindici film e mezzo, sbagliandone in fin dei conti pochi. Tra quelli meno riusciti possiamo forse annoverare Knightriders, del 1981, e Bruiser, del 2000 (da noi distribuiti in home-video). Le intuizioni geniali, non solo tematiche ma anche espressive, sono certamente più numerose e attendono ancora (quantomeno in Italia) qualche bravo studioso che se ne occupi in maniera sistematica e approfondita.