Easy Rider 40 anni dopo

29/03/2009

Lo ha scritto in 4 ore, dall’1.30 alle 4.30 del mattino, il 27 settembre del 67. Peter Fonda era consapevole di compiere qualcosa che avrebbe dato una scossa. E nel 69 è uscito nelle sale Easy Rider, uno dei 10 film che sconvolsero il mondo. Dopo quarant’anni non è invecchiato, benché i personaggi riflettano i fermenti di novità di allora, sogni, ingenuità ed errori di chi avvertiva che “i tempi stanno cambiando”, ed è indissolubilmente legato ai suoi costumi. Eppure il sentimento è immutato (“se ci guardiamo intorno vediamo lo stesso razzismo e la stessa intolleranza di allora” dice Peter Fonda) perché è immutata la paura della libertà.
Il Busto Arsizio Film Festival ha omaggiato i 40 anni del film invitando Capitan America in persona, Peter Fonda, a cui è stato consegnato il Premio alla Carriera Dino Ceccuzzi Platinum, conferito negli anni scorsi ad altri grandi protagonisti del Cinema, come Faye Dunaway e Roy Scheider. Lezione di Cinema e incontro con il pubblico all’inaugurazione del Festival, dove la proiezione di Easy Rider si fissa come ideale punto di partenza del percorso sul disagio giovanile e la ricerca di identità, motivo conduttore di questa settima edizione che focalizza i contrasti generazionali. Così il BA Film Festival ha fatto centro ancora una volta con un ospite straordinario, entrato nella leggenda grazie proprio a quella pietra miliare del Cinema. Se, quando ancora ero una ragazzina che girava le cineteche alla scoperta dei film culto, mi avessero predetto che un giorno avrei incontrato Peter Fonda non avrei osato crederci.
Con “Easy Rider” è nato il road movie americano degli Anni 70 e si è imposta una nuova generazione di attori come Jack Nicholson, che nel film lascia un marchio indelebile nel ruolo dell’avvocato alcolizzato George Hanson trascinato nell’avventura dai due bikers. Era arrabbiata, tormentata, inquieta, confusa la gioventù a cavallo tra gli Anni 60 e 70, che aveva trovato nel viaggio il suo simbolo e di questa inquietudine dello spostamento si erano fatti voce i film di ribelli in fuga attraverso un’America che cambiava, contrapposta all’altra sua faccia che si ostinava a stagnare. Era una ribellione spesso esteriore (e i due protagonisti di Easy Rider sono tutt’altro che eroi e inforcano le loro moto per raggiungere i sogni lisergici di New Orleans), ma è proprio per il loro look che muoiono, odiati per la loro ricerca di evasione e per paura di ciò che rappresentano (in Italia il film era uscito con il didascalico sottotitolo “Libertà e paura”).
Il film scandisce in tappe ed incontri, pulsando al ritmo di una colonna sonora leggendaria, il viaggio dell’agitato e sempre strafatto Billy e dell’enigmatico, sognante Capitan America, toccato da una vena di malinconia che il suo compagno di fuga non sa comprendere. L’America scorre tutta, sotto quelle note e sotto le loro ruote, nella magnificenza dei paesaggi, passando progressivamente da’euforica ebbrezza iniziale ad un presagio di nulla (sottolineato da rapidi flash forward). “Siamo fregati” dice Capitan America. “It’s allright ma, I’m only bleeding” recita la colonna sonora, e poco dopo le moto saltano in aria. In un finale freddo e fulmineo. “E ci tenevo a chiudere con quella battuta: we blew it”.

Clicca qui per l’incontro completo con Peter Fonda

Gabriella Aguzzi