Premi Nobel e Pulitzer, cineasti di culto e musicisti-mito: da dieci anni ogni estate Milano si accende per 15 giorni di incontri culturali ad altissimo livello grazie alla “Milanesiana”, il festival (non solo) letterario diretto da Elisabetta Sgarbi, con serate al Teatro Dal Verme e “aperitivi” con gli autori presso la Sala Buzzati del Corriere della Sera.
L'edizione di quest'anno ha per tema conduttore l'invisibile, che viene trattato spaziando dall'arte alla scienza.
Durante il primo incontro vis-à-vis con gli scrittori americani Michael Cunningham e Erica Jong si è però scelto un altro tema, altrettanto impegnativo: la paura e la speranza.
Dalle paure sociali (“Oggi il sesso non fa più paura, anzi è il solo momento di gioia – afferma la Jong – ciò che temo sono le armi nucleari in mano ai terroristi e l'inquinamento del pianeta”) a quelle più strettamente letterarie della pagina bianca.
"So bene cosa sia il blocco dello scrittore, perché è da cinque anni che lavoro su un soggetto - ci svela "in anteprima" Erica Jong - che in tutto questo tempo ha assunto varie facce: ero già arrivata a pagina 150 quando ho cambiato in corsa. Volevo vedere che ne era della mia protagonista quando arrivava a compiere 60 anni, e man mano si è fatto più autobiografico... Poi si è trasformato in un libro sull'essere nonna e ora finalmente sta trovando una sua fisionomia e spero di completarlo fra non molto"
Per Cunningham invece "La mia paura come scrittore è di non riuscire a mettere su carta le idee immense che mi fluttuano nella testa. Se anche alla fine riesco a produrre qualcosa di non male, non è mai quel capolavoro che sognavo quando mi accingevo a scrivere". Il suo sogno odierno è attorno a un gallerista che scoprirà la bellezza attraverso qualcosa che non immaginava: ma di più sulla sua prossima fatica letteraria non ci è dato sapere. Sappiamo invece quali sono le speranze di questi scrittori, anche se Jong dice mestamente che "c'è più di cui aver paura che ragioni di speranza": c'è speranza nelle prossime generazioni; in un'America che ha detto di no a Bush e sì ad Obama ("I miei amici gay - osserva Cunningham - si lamentano perché non si occupa abbastanza dei diritti degli omosessuali: personalmente non mi importa nulla di poter attraversare la navata della chiesa vestito di bianco accanto al mio compagno, se poi un'arma nucleare ci fa saltare per aria, preferisco un presidente che si preoccupa dell'economia, della pace e dell'ambiente che dei matrimoni gay"); e, soprattutto, nei loro lettori: "Uno scrittore è ottimista per antonomasia, se no non si metterebbe mai a scrivere sperando che qualcuno possa leggere le sue storie e apprezzarle"