
L’oramai enciclopedico Moccia battezza il suo nuovo pargolo cinematografico, “Scusa ma ti voglio sposare” e come padrino e chiesa sceglie la Coin di Piazza Cinque Giornate di Milano, vestita a festa e di matrimonio fino al 15 febbraio.
Quindi, tra abiti da sposa e smoking per lo sposo, quale idea migliore se non stappare la bottiglia di champagne e mangiare la torta con il cast al completo dell’ultimo film del Moccia.
Lungo il marciapiede, una passerella con tanto di tappeto rosso e bodyguards di colore, mentre le cinquantenni aspettano il Raoul.
L’appuntamento è fissato per le sei. Ma i dettami hollywoodiani impongono il ritardo: Moccia & Co sforano di ben un’ora. Con un gomito di una donna tra le scapole, e una borsa che mi puntella la schiena ferocemente, continuo a chiedermi cosa stia facendo lì.
Le interviste, ovviamente, sono bandite, e dalla posizione in cui mi trovo, tra un materasso e uno scaffale di candele alla lavanda, mi sforzo di aspettare per ascoltare i commenti degli attori e del regista, cercando d’ignorare un principio di tachicardia e nausea,forse letale.
Mentre mi chiedo per l’ennesima volta se è plausibile rischiare il soffocamento tra pensionate in calore per un film di Moccia, il cast fa capolino da una porta di servizio.
E la ragione scompare. Urla e apprezzamenti da tutte le rappresentanti del genere femminile si alzano all’unisono.
Flash da ogni angolo, mentre da dietro inizia una pressione e spintonamenti da far concorrenza a hooligan e ultras messi insieme.
L’organizzatore dell’evento cerca di sedare il brusio e la schizofrenia del pubblico; ma è forse possibile placare una massa indistinta di donne vittima di un eccesso ormonale?
Moccia inizia tra le urla, scusandosi per il raffreddore che l’ha colpito e in tre parole, forse anche troppe, presenta il film: commedia romantica che racconta della paura di amare e della volontà di rischiare.
Il microfono passa di mano in mano e le parole sono sempre le stesse: una commedia romantica, e in conclusione, un augurio per un bellissimo San Valentino.
In un quarto d’ora, l’evento è destinato ad esaurirsi.
Quando sento un impellente sfogo in faccia, decido di battere la ritirata. Mi allontano e il mio posto viene subito occupato da una sessantenne, presa nella descrizione degli occhi di Raoul all’amica.
Salgo le scale mobili e cerco di trarre un insegnamento da questa odissea: mai regalare candele alla lavanda alle persone cui vuoi bene.