Far East Film 12: Psyco Horror Day

06/05/2010

Tra retrospettive e scoperte si snoda l’immancabile appuntamento del Far East Film con l’horror. Se le passate edizioni ci hanno regalato innumerevoli panoramiche di case infestate, questa 12° edizione sembra soffermarsi maggiormente sui fantasmi e gli orrori della psiche, forse con meno novità (il genere, frequentatissimo dal Cinema Orientale, sembra ormai aver esaurito le sue trovate e dopo anni di cellulari assassini, delitti in rete, magioni maledette non sa più cosa inventare) ma regala sempre brividi e angosce come la tradizione insegna. Tradizione che si è ormai instaurata nella grande manifestazione cinematografica udinese segnando un appuntamento fisso con la maratona dell’horror (non dimentichiamoci che la scoperta in Occidente di talenti come Hideo Nakata parte da qui).
E per quanto riguarda le scoperte quest’anno avremmo sicuramente scommesso su Lee Yong-ju, nuovo esponente del K-Horror, e sul suo fulminante esordio con Possessed”. Peccato che le aspettative siano riamaste in parte deluse. Nulla da eccepire per quanto concerne le atmosfere: Lee Yong-ju è un vero maestro della suspense e crea un crescendo cupo attorno ad un fatiscente condominio dove una ragazza, alla ricerca della sorella scomparsa, si aggira all’interno di un mistero sempre più fitto che mescola in modo inquietante fanatismi cattolici e superstizioni pagane. Vi sono momenti di autentico terrore che ci obbligano a trattenere il respiro, senza mai sfociare nell’orrore visivo. Ma dall’altro lato vi sono troppe incongruenze narrative ed elementi affastellati al solo scopo di costruire una trama troppo misteriosa che poi manca di spiegarsi, una pecca purtroppo comune a molti horror orientali che, come in questo caso, sembrano indirizzarsi verso il capolavoro e finiscono invece col ritorcersi su se stessi, non avendo una sceneggiatura solida come la suggestione ambientale. Che, infine, la ragazza fosse posseduta lo avevamo capito già dal titolo, ma da chi, e come, e perché altri siano posseduti dopo di lei Lee Yong-ju non ce lo spiega, come ci avesse condotti con un’abile incantagione fin sul tetto del condominio per poi lasciarci lì a districare da soli l’accaduto e i suoi molteplici nodi.
I critici europei hanno voluto trovare analogie tra il mystery horror di Lee Yong-ju e il nostro Dario Argento, analogie che personalmente riesco a riconoscere vagamente solo in Suspiria e nella sospensione di alcune attese. Il paragone tuttavia inorgoglisce il regista coreano. “Come spettatore sono un grande estimatore del genere horror e inconsciamente sono rimasto influenzato anche da elementi europei. Dario Argento è un regista molto ammirato in Corea e il fatto che si dica così di me qui in Italia mi sorprende ed è un gran complimento”.

Con uno sguardo al passato, i veri gioielli horror ci vengono dalla retrospettiva “The Sensational Films of Shintoho”, la celebre casa di produzione nipponica che dal ’47 al ’61 sfornò provocatoriamente una serie di noir e thriller senza disdegnare il mélo e il musical. Per lo Psyco Horror Day la mattina al Visionario ha visto in sequenza “Vampire Bride”, “Ghost Cat of Otama Pond” e “Bloody Sword of the 99th Virgin”, ma il vero gioiello è stato “Ghost Story of Yotsuya” di Nakagawa Nobuo (1959) che può essere considerato il capostipite dei film che vedono protagonista il fantasma vendicatore col volto sfigurato coperto dai lunghi capelli. Tratto da un dramma teatrale Kabuki ne porta al Cinema, in un livido bianco e nero popolato di ombre, la tradizione e gli spettri, dove la catena di delitti del pavido Samurai Iemon lo trascina in un gorgo di rimorsi e vendette, in una sorta di sanguinario Macbeth nipponico dove l’eternamente insoddisfatta avidità regna sul trono comandando nuovi delitti. Il film è stato chiaramente ispiratore di quel “Kaidan” di Hideo Nakata presentato proprio al Far East di Udine due anni fa. Anche lì il lago nebbioso gravido di fantasmi, la sposa uccisa che torna sfigurata e minacciosa seminando morte e un Samurai condannato al continuo delitto. Differente la trama, ma evidente l’omaggio all’opera di Nakagawa Nobuo e alle leggende tramandate dal Teatro Kabuki. E il fatto che il Far East Film ci abbia oggi riproposto il suo predecessore è conferma di un discorso che continua tra vecchio e nuovo, tra rivelazioni e riscoperta delle origini.

Gabriella Aguzzi