Il "Giallo" di Dario Argento

01/06/2010

“Questo film è stato il più grande casino della mia vita”. Esordisce così Dario Argento a proposito del suo ultimo film, Giallo, girato nel 2008, presentato al Festival di Cannes nel 2009, e tuttavia non ancora distribuito nelle sale cinematografiche italiane. Forse per l'eccessivo costo dei diritti, dopo varie incomprensioni fra il regista e i produttori americani, il film non è stato acquistato da nessuno ed uscirà direttamente in dvd, saltando quindi il passaggio cinematografico, una volta ultimato il doppiaggio. Ci dispiace dirlo, soprattutto a proposito del padre del cinema horror e thriller italiano, ma non si tratta di certo una gran perdita; ciò che delude di questo ultimo lavoro del regista romano è sicuramente l'avvicinamento, per non dire la fusione con il cinema horror americano di basso livello.
 La trama di Giallo è a dir poco banale: un serial killer, fintosi un tassista, rapisce e sevizia bellissime ragazze fra cui Celine (Elsa Pataky), una giovane modella. È proprio la sorella di quest'ultima, Linda, che, rivoltasi all'ispettore Avolfi (Adrien Brody) dopo la scomparsa di Celine, che imprimerà alle indagini la svolta fondamentale per risalire all'autore degli efferati delitti. Dove sono finite le sceneggiature brillanti ed originali che caratterizzavano il cinema “argentiano”? L'intera vicenda, opera degli sceneggiatori americani Jim Agnew e Sean Keller, non è poi così diversa dalle tante prevedibilissime e scialbe trame dei film horror americani che, se non fosse per una buona dose di spavento, ottenuta esasperando il dettaglio macabro ed investendo sulla spettacolarità degli effetti speciali, non trasmettono nulla allo spettatore. Non esistono espedienti narrativi in grado di tenere lo spettatore con il fiato sospeso: siamo ben lontani dall'originalità delle soluzioni narrative dei primi film del cineasta, come “Profondo rosso” o “Quattro mosche di velluto grigio”, l'identità dell'assassino è subito rivelata, l'indagine si trascina avanti noiosamente e la suspense sembra essere un lontano ricordo. Ciò che è peggio è che la banalità dell'intreccio non è neanche compensata da un' acuta indagine psicologica del killer; i processi psichici che motivano i suoi delitti risultano quasi come un passaggio obbligato sul quale il regista è costretto a soffermarsi, suo malgrado. Il meccanismo dello spavento non è più basato su espedienti che agiscono sulla psicologia dello spettatore, ma si fonda soprattutto sulla superficiale impressionabilità, avvalendosi di effetti speciali e trucco più che di abilità narrativa e registica: se nei vecchi film di Argento in ogni sequenza si aveva l'impressione di essere circondati dall'aura malefica del cattivo, la cui identità non rivelata non faceva altro che accrescere sapientemente questa sensazione, in Giallo l'unico sentimento suscitato è quello di orrore e raccapriccio, se non di disgusto, per il gusto macabro delle sequenze violente, che, grazie all'accuratezza degli effetti speciali, diventa quasi splatter.Alla luce di tutto ciò non è difficile capire perché nessuno abbia distribuito il film nelle sale cinematografiche. Ma comunque, nonostante la scarsa qualità artistica di Giallo, l'intervento di un ottimo regista è comunque intuibile nell'estrema cura del dettaglio -di cui l'esempio massimo si può scorgere nel suggestivo primissimo piano dell'occhio dell' assassino in Profondo rosso- che si palesa soprattutto nelle inquietanti inquadrature iniziali delle ruote del taxi. Anche la scelta della colonna sonora è accurata (non a caso  il compositore Marco Werba  ha vinto quest'anno il premio Fanta-Horror Award  per la migliore colonna sonora) ma essa perde ogni fascino se confrontata con le note agghiaccianti, suonate dai Goblin, di Suspiria o Profondo rosso, che, non a caso, sono entrate nella storia del cinema di questo genere.

Chiara Di Ilio