L'importanza di essere Ernest

10/07/2012

E' stato un onore conoscere Ernest Borgnine. Lo abbiamo incontrato quando venne in Italia nel 2006 per il film “La cura del gorilla” (“Il primo in italiano, dopo che ne ho girati 184. C'è sempre qualcosa di nuovo che ti aspetta nella vita”), e prima ancora accolto dal Comune di Carpi che rendeva omaggio al suo illustre concittadino (il padre è di origine piemontese, la madre carpigiana, e a Carpi Ermes Efrom Borgnino trascorse la sua infanzia). Riproponiamo la nostra intervista di allora, svoltasi esattamente dieci anni fa.

“Andavo a giocare sul fiume, dove c'era la fune per traghettare. Un giorno ho incontrato uno che aveva fatto la guerra proprio su quell'angolo di fiume dove giocavo io da bambino. Mi dite che adesso c'è un ponte? Oh no!”.
Sono tanti i ricordi per Ernest Borgnine, tornato per la terza volta al paese della sua infanzia con l'Oscar per l'indimenticabile personaggio di “Marty” e tanti altri ricordi luminosi dei tempi d'oro di Hollywood, di “gente meravigliosa come Lee Marvin, Bob Aldrich e Bette Davis: che donna fantastica!”. Lo ha invitato il Comune di Carpi, dedicandogli una retrospettiva di film di film che lo hanno immortalato, come l'elegiaco e crudele “Il mucchio selvaggio”.
Lui racconta lontani episodi in italiano, sola  a tratti faticoso, con quella sua risata aperta da buon emiliano di fondo; si diverte e si commuove se lo salutano personaggi che vantano legami d'amicizia o parentela. 85 anni portati a meraviglia, un corpo massiccio e un viso grezzo che lo hanno legato a ruoli di caratterista o di duro, a film di guerra o d'azione (“Quella sporca dozzina”, “Da qui all'eternità”, “L'avventura del Poseidon” i titoli più celebri) o al desolato western di Nicholas Ray o Sam Peckinpah. Con “Marty vita di un timido” il cambiamento: “ Dopo di che mi volevano solo per personaggi come Marty. E forse sono stato un timido anch'io, non riuscivo nemmeno a invitare una donna a ballare”.
Ma non ci sono solo le memorie, il vecchio Borgnine ha già in cantiere  tre film. “Ho detto a Sean Penn che agli Oscar avevo votato per lui, perché in “Mi chiamo Sam” è davvero straordinario. La settimana dopo Sean Penn mi ha chiamato chiedendomi di partecipare a un film che vorrà dedicare all'11 settembre. Sono storie differenti, in diverse parti del mondo collegate solo da quanto sta per accadere. Io dovrò interpretare un vedovo che parla con un fiore come se fosse la moglie e dalla finestra vede il crollo delle torri (Il film uscì quell'anno stesso, titolo “11 settembre 2001”, il suo episodio era “USA”- ndr.) Poi sarò di nuovo in un western (“The long ride home”, 2003 – ndr) La gente era curiosa di vedermi montare a cavallo. Io ho usato la scaletta, ma lo ha fatto anche John Wayne!”
Ancora energico, con tanta voglia di fare, eppure prende distacco dal cinema d'oggi. “E' diventato troppo violento” nota, con una punta di nostalgia. (Aprile 2002)

Gabriella Aguzzi