Poche cose accomunano Robert Mitchum e James Stewart: la data di morte, quasi perfettamente coincidente (1 luglio 1997, 2 luglio 1997), una lunga carriera ricca di pellicole di valore, l'amore per la musica, la fedeltà alla donna sposata, la simpatia. Per il resto sembrano quasi l'opposto: prototipo del bravo ragazzo il primo; seducente, ironico e politicamente scorretto il secondo. Eppure, nel loro look e nelle loro carriere così differenti, c'è ancora qualcosa d'altro che li avvicina, ed è l'ottima riuscita nei generi noir e western
Stewart non è solo il ragazzo dolce, dinnocolato e un po' svampito de "La vita è meravigliosa" o "Harvey", di "Scrivimi fermo posta" e "Mr. Smith va a Washington", ma è anche il volto culto di due maestri dei generi succitati: sir Alfred Hitchcock e Anthony Mann. Col primo è stato protagonista di "Nodo alla gola", "La donna che visse due volte", "L'uomo che sapeva troppo" e ha saputo regalargli l'inquietudine nascosta dietro a un volto perbene (nel film con la Novak è semplicemente straordinario), col secondo ha interpretato, tra gli altri film realizzati insieme, capolavori come Winchester '73, Là dove scende il fiume, Lo sperone nudo, Terra lontana, L'uomo di Laramie, in cui la sua "giusta" caparbietà sconfina nell'ossessione e nella violenza. Ma di western ne ha interpretati almeno altri 13 (in Liberty Valance e Il pistolero fa coppia indimenticabile con John Wayne), anche se il suo volto resta legato maggiormente alle commedie (ha vinto l'Oscar con Scandalo a Filadelfia). Il suo destino cinematografico lo fa incontrare con Robert Mitchum una sola volta, a fine carriera: è un indimenticabile gen. Sternwood, malinconicamente innamorato del genero scomparso, che si rivolge a Mitchum-Marlowe nel remake de Il grande sonno,"Marlowe indaga".
Quello di Marlowe è un ruolo cult per Mitchum (cfr. il nostro articolo su Chandler nella rubrica "Dal libro al film") che ha segnato la propria carriera col suo indolente sex appeal e il suo sonnacchioso distacco da ciò che lo colpisce, fosse anche un pugno nello stomaco. Ha attraversato il western (circa una dozzina di pellicole, anche di valore) senza mai diventarne un eroe (non a caso la sua ultima interpretazione è uno strepitoso cameo in "Dead man" di Jarmush), ha lasciato un'impronta notevole nel genere bellico (da "I forzati della gloria" a "La battaglia di Midway"), ha interpretato efficacemente dei bei melodrammi ("Anime ferite", "A casa dopo l'uragano", "L'anima e la carne"), ma soprattutto è uno degli attori più indissolubilmente legati al noir: inizialmente targato RKO, spesso in coppia con Jane Russell, e successivamente in pellicole più complesse, circa un'altra dozzina, da "Il promontorio della paura" al suo remake "Cape Fear", contando anche masterpieces come "La morte corre sul fiume" o "Yakuza". Eppure ha saputo toccare con ironia - quella che nella vita non lo abbandonava mai: intervistarlo era un piacevole rischio - anche la commedia, facendo coppia con Cary Grant in "L'erba del vicino è sempre più verde": uno dei migliori duetti maschili di Grant, dopo quello con Stewart in "Philadelphia Story".
Tra i momenti felici della mia vita posso annoverare i miei incontri con questi due giganti della storia del cinema: la cortesia impeccabile del vecchio Jimmy, lo sguardo impagabile del grande Bob. Se mi mancano, posso guardare un loro film in videocassetta, e allora la vita mi sembra davvero meravigliosa.