Biancaneve ha 70 anni

01/01/2008

Quando Walt Disney, forte del successo delle sue “Silly Symphonies” (cortometraggi di animazione con sfondo musicale), annunciò un lungometraggio tutto di animazione, in molti pensarono che lo sforzo economico lo avrebbe portato alla rovina. Invece con “Biancaneve e i 7 nani” Disney entrò nella storia, cambiando quella del cinema.
Oggi, dopo 70 anni, il cinema di animazione è un genere trainante dell'industria cinematografica, e “Biancaneve e i 7 nani” uno dei film più celebri ed amati.

Tratto dal racconto dei fratelli Grimm, il film di Disney ne smussa gli aspetti più spiacevoli, pur non rinunciando del tutto a un lato quasi horror, costituito dalla fuga della ragazzina nel folto del bosco, con gli alberi che sembrano animarsi e strapparle le vesti, e dalla sequenza della trasformazione della regina matrigna in strega: scene divenute mitiche, che in Svezia son costate al film un divieto ai minori(!). Ma, per il resto, la scelta del regista è in linea con la politica già adottata nelle Symphonies, basata su pochi e chiari elementi: 1) musica: i grandi progressi grafici ottenuti in pochissimi anni fan sì che le figure si muovano con perfetto sincronismo, e tra tutti i film la cui regia è dello stesso Disney almeno parzialmente (l'altro regista accreditato è tale David Hand), Biancaneve che più di tutti ha l'impianto del musical (tendenza ripresa dal “nuovo corso” della sua casa di produzione negli anni '90 con ben più stucchevoli risultati); 2) sentimento (e qui forse abbiamo la parte più debole, poiché il personaggio del principe è appena un'ombra); 3) comicità, nel caso garantita dalla presenza dei Sette Nani, la vera invenzione geniale della pellicola, tanto da meritare la citazione nel titolo stesso del film. Infatti nella favola essi sono solo delle figure di sfondo, mentre qui ognuno di loro assume una personalità ben definita, che si riscontra anche nel nome: così ecco il “saggio” Doc, l'allegro Happy, lo starnutante Sneezy, il timido Bashful, il sonnolento Sleepy, il brontolone Grumpy, il giovane Dopey.

L'esperimento, come si è detto, fu un successo strepitoso, che avviò addirittura, per la prima volta, il fenomeno del merchandising e venne rieditato otto volte, praticamente a ogni decennio, con invariato successo; avviò uno stile cinematografico (la fusione di vari generi – comico, romantico, avventuroso, drammatico – in un tutt'uno armonico) e un genere cinematografico (appunto il lungometraggio di animazione), rappresentò l'inizio di una serie di sfide tecniche (le riprese di una serie di fondali trasparenti, che danno verosimiglianza all'immagine e profondità di campo), premiò l'impiego di un esercito di animatori su un lavoro durato anni.

Da applauso anche la versione in italiano, quella originale d'epoca: e uno dei maggiori rimpianti è di non potere più “accedere” a quelle voci, quelle battute, quelle canzoni (“Impara a fischiettar” chissà perché trasformato in “Proviamo a fischiettar” e via così). Ma i nomi, geniali, dei sette nani sono rimasti invariati, e non poteva essere altrimenti. Pronti a dirli tutti d'un fiato? Dotto, Gongolo, Eolo, Mammolo, Pisolo, Brontolo, Cucciolo.

Elena Aguzzi