Dieci anni senza Fabrizio

10/01/2009

Chi era Fabrizio De Andrè? Cercare di classificarlo è impossibile, tante sono le immagini che ci ha lasciato di sé, a meno di non limitarsi all'icona del cantautore piegato sulla chitarra, il ciuffo sull'occhio, la gamba accavallata, il sorriso ironico, la sigaretta perennemente accesa. È stato il timido cantore di puttane, ladri e perdenti, lontano dal frastuono dei media come l'amico Luigi Tenco; l'intellettuale “anacronistico” che parlava di Spoon River e della Buona Novella mentre gli altri compagni salivano sulle barricate; il poeta criptico, “Dylan italiano” (ma Fernanda Pivano sottolineò che forse era Dylan il De Andrè americano...); il dotto musicista che ha fatto del dialetto genovese un linguaggio culturale e musicale a metà strada tra oriente e occidente, tra realtà e utopia. È cambiato col tempo, le esperienze, le amicizie musicali: Mina e Dori Ghezzi, Francseco de Gregori e Massimo Bubola, Mauro Pagani e la PFM, il figlio Cristiano e Ivano Fossati. Eppure è sempre rimasto, inconfondibilmente, se stesso. Forse perché, come diceva col suo impagabile umorismo, “ho sempre avuto poche idee, ma fisse”. L'idea, filo rosso sottile che lega tutta la sua discografia, della relatività della morale. E su questa idea ha variato accordi e sensazioni, riscoperto antichi suoni e nuove rime sparse, finendo un po' ingiustamente sulle antologie scolastiche: perché è riduttivo e ingiusto classificare solo come poeta chi accompagna la poesia con le note, e che note. Così gli anni '60 sono stati quelli dei dischi più “difficili” e insieme dei successi più popolari (“La canzone di Marinella”, “La guerra di Piero”, “Bocca di Rosa”) e i '70 della conversione alla pura poesia (vedi lo straordinario incipit di “Amico fragile”: “Evaporato in una nuvola rossa, in una delle molte feritoie della notte...”) e  quelli del mitico tour con la PFM. Compone “Andrea”, prima canzone gay italiana, mentre si innamora perdutamente di Dori Ghezzi, dalla quale ha la figlia Luvi, e che non lascerà fino alla morte. Il loro buen retiro in Sardegna viene drammaticamente interrotto nell'agosto del 79 col sequestro: quattro mesi presso l'”hotel Supramonte”che avrebbero potuto distruggerlo, e che invece ispirano il suo capolavoro, quel disco senza titolo, chiamato per intendersi “dell'Indiano”, uscito nell'81. Tre anni dopo bissa con “Creuza de ma”, eletto miglior disco italiano del decennio. Negli anni '90 potrebbe sedersi sugli allori, e invece ancora compone, sperimenta, arrangia, gira in tourné evitando sempre con cura di trasformare i suoi concerti in greatest hits. Ci lascia prematuramente l'11 gennaio 1999 e ci pare ieri per come è ancora vivo tra noi.

Da domenica 11 gennaio, nel decennale della scomparsa di Fabrizio De Andrè, e fino a sabato 24, sarà visibile presso la wavephotogallery di Brescia, via Trieste 32, una raccolta di immagini scattate da Rolando Giambelli durante vari concerti, incontri e prove di registrazione del grande musicista e poeta genovese.

Elena Aguzzi