Fuoriclasse Van Sant

31/01/2009

Gus Van Sant è il consacrato sovrano del cinema indipendente americano.
Innanzitutto, con cinema indipendente si suole indicare tutti quei film difficili da trovare nelle
videoteche, sconosciuti nelle sale cinematografiche e pochissimo commercializzati via etere.
Gioiellini da tenere, se scovati in qualche negozietto di periferia, come la bibbia per la vostra cara nonnina. Confezione da ammirare fino allo sfinimento, film da riguardare minimo tre volte al giorno per poi, fare una sfida con chi capita lì al momento,  sulle mille sfaccettature  dei  risvolti significativi di alcune scene. A ritmo di sgranocchio di qualche schifezza vegetale e un sorso di lemonsoda si arriva alla vera e propria rissa per  interpretazioni diverse.
E in tutto questo, il caro vecchio Gus è l’ eccelso regista visionario dell’ alienazione di strada.
Nato il 24 luglio 1952 a Luoisville, Kentucky, passa l’infanzia  a seguito del padre commerciante.
Il suo incontro col cinema avviene solo al college.
Prima, unica passione di Van Sant rimane la pittura.
Diplomato al Rhode Island School of Design, scuola d'arte d'avanguardia si avvicina al cinema sperimentale, che mai abbandonerà, iniziando a comporre lavori con la Super 8.
Dopo il diploma si trasferisce a Los Angeles, dove inizia a farsi le ossa nel mondo mediatico.
Gira vari spot pubblicitari e video musicali.
La sua nascita come regista indipendente nasce in questo periodo con il mediometraggio in 16 mm “Alice in Hollywood” del 1981, risultato del contatto di Van Sant con il mondo parallelo del cinema, fatto di aspiranti attori e divi vittime della tossicodipendenza.
In questo periodo, il nostro caro Gus si veste del ruolo di spietato documentarista di un mondo emarginato.
Entrato a pieni voti nelle preferenze del mondo gay, dichiara apertamente la sua omosessualità e fa di questa dimensione psicologica, il suo campo di indagine.
Munito di puro sarcasmo, scende nelle profondità di esistenze al margine della società, raccontando quasi con apparente ingenuità, gli orripilanti risvolti della dimensione giovanile.
Si trasferisce a Manhattan dove continua a girare spot e videoclip.
Solo negli anni ottanta, il successo tocca le mani di Gus.
Con il primo lungometraggio del 1985 “La mala noche”, il regista riceve i primi riconoscimenti dalla critica di Los Angeles per film indipendenti.
Completamente autoprodotto, racconta, per mezzo di quegli elementi fondamentali della sua cinematografia, romanticismo underground e omosessualità esplicita e pudica allo stesso tempo,  una storia d’amore tra un commesso di un negozio di alcolici e un immigrato messicano.
Con questa consacrazione di critica e di pubblico, vengono alla luce anche suoi lavori precedenti: "La disciplina di DE" (1978), tratto da un breve racconto di William Burroughs e "Cinque modi per uccidere se stessi" (1986).
Proprio Burroughs, scrittore americano maledetto, fondatore con Allen Ginsbergh e Jack Kerouac di quel movimento un po’ beat e  un po’ road, diverrà ispirazione totale per Van Sant.
Lo stesso scrittore lo vediamo in un cameo nel successivo film di Gus, “Drugstore Cowboy” nei panni di un prete tossicodipendente.
Quest’ultimo film segna una prima corruzione dell’essenza indipendente di Van Sant che viene introdotto nelle majors di Hollywood.
Specchio di questa suo cambiamento, il film cult dei primi anni novanta “My own private Idaho”, ribattezzato, ingiustamente, dalla sacra patria italiana, “Belli e Dannati”.
La libertà è molta, i soldi sono pochi. Ma il cineasta riesce a produrre un film indipendente fino all’anima. Visionario e complesso. 

     Nel suo essere angoscioso, ritrova quell’ironia sprezzante di sempre.
L’apoteosi creativa l’abbiamo con “Cowgirls, il nuovo sesso”.
Istrionico e psichedelico, questo western di ambientazione moderna, viene stroncato dalla Mostra di Venezia, per l’eccessiva originalità.
Van Sant è, in questo caso, oltre a regista, sceneggiatore, montatore e  produttore.
Costretto a rimontarlo completamente, vede la sua creatura, di nuovo, rifiutata dal consenso della critica. In breve,il film viene escluso dalla diffusione nelle sale cinematografiche.
Chiusa questa parentesi, ritornerà due anni dopo con “Da morire”. E poi, altri film , per così dire, più commerciali.
Da “Will Hunting - genio ribelle” con il divone Matt Damon e Robin Willliams, che gli varrà la nomination agli Oscar per miglior regia e miglior sceneggiatura, a “Scoprendo Forrester” con un saggio Sean Connery; esegue, inoltre,anche una rivisitazione di quel “Psycho” di Hitchcock.
Ritorna poi, alla sua  tradizione underground, con “Elephant”, grande ricordo di un’ assemblea guarinense, e “Last Days”: telecamera puntata sugli ultimi giorni della vita di Kurt Cobain, icona musicale della generazione X e con "Paranoid Park". Prima di tornare a far parlare di sé con "Milk"

Insomma, il caro Gus si è fatto notare come sovrano della scena alternativa dell’arte cinematografica, e non solo, degli ultimi vent’anni.
Colui che ha portato alla luce temi scottanti e sempre taciuti, come omosessualità, prostituzione, droga ed alienazione.
Descritti non convenzionalmente, lo scopo della cinepresa Van – Santiana è di trovare il divertimento, l’ironia anche in situazioni così disarmanti.
Le sue storie divengono angoscia e riso contemporaneamente.
Emblema di tutto ciò:  “My Own Private Idaho”.
Del 1991, vede un Keanu Revees pre–matrixiano e un mai abbastanza compianto River Phoenix. Due vite, una storia. Quella di Mike (Phoenix), adolescente omosessuale, affetto da narcolessia, abbandonato dalla madre e costretto alla prostituzione. E quella di Scottie (Reeves), figlio del sindaco della città, che per ribellione, lascia la vita agiata e va a prostituirsi.
La scena: periferia di Portland, Oregon.
Tra una scena e l’altra, scandite dalle crisi di Mike, la cinepresa viene  puntata su dei  giovani, non attori, ma veri ragazzi di strada, che raccontano delle loro prime marchette.
Un viaggio on the road alla ricerca della madre di Mike, che porterà i due protagonisti fino in Italia, a Roma. Scottie troverà l’amore, Mike l’ennesima delusione. Mentre il primo, alla morte del padre, tornerà al suo ruolo di figlio del sindaco, Mike continuerà a destreggiarsi in questa vita. Memorabile la scena speculare del  cimitero. Due vite che si confrontano nella celebrazione della morte. Da una parte, Mike e la sua vita all’Oraziano Carpe Diem, dall’altra, Scottie e i suoi doveri morali.
Con chi simpatizza il regista? Non è chiaro. Si limita ad osservare i due personaggi, mentre egli stesso si rispecchia in entrambi.
Un Van Sant prima maniera, sovrano delle produzioni underground e privo di obblighi, e un Van Sant che invece inizia a fare i conti con  le majors hollywoodiane.

Gus van Sant, regista sublime e in grado di trasmettere con quelle sue inquadrature mai nella norma, sentimenti ed emozioni mai scontate.
Una sorta di maestro per la nostrana Asia Argento che si ritrova a citarlo nel suo secondo film da regista “Ingannevole è il cuore più di ogni cosa”.
La stessa Argento che è tra i protagonisti di “Last Days” con il nuovo feticcio di Gus, Michael Pitt.
Un regista che pochi conoscono.
Di questo, mi spiace ma allo stesso tempo, ne sono felice.
Gioiello di pochi, sinonimo di qualità.
Un’integrità che si mantiene nella sua arte e nel suo vivere senza divismi.

Curiosità:

•    Gus Van Sant è oltre a regista, pittore, scrittore e musicista. Insomma, un artista enciclopedico.
•    Ha portato ad icona l’ attore e amico River Phoenix con il suo “My Own Private Idaho”. Tra l’altro, River compare con una piccola parte in  “Cowgirls-il nuovo sesso”, dove recita la sorella, Rain Phoenix.

Gus, in fase di montaggio del film, è venuto a conoscenza della morte di Phoenix per attacco cardiaco. Così, ha voluto dedicare il film all’amico morto prematuramente. Infatti, all’inizio del film, si vedono delle stelle che salgono in cielo e una, più luminosa, scrive “To River”.

•    Gus ha inoltre fatto recitare nel suo film “Da morire”, un altro  fratello di River, Leaf. Ora conosciuto come Joaquin Phoenix.
•    Amico di Flea dei R.H.C.P., che tra l’altro vediamo in “Belli e dannati”, Gus ha diretto il  videoclip di “Under the bridge”, dell’album BloodSugarSexMagic. (1991)
•  “Last Days” è stato un progetto molto desiderato da Gus Van Sant, ma ritardato nella sua realizzazione.
 Pare infatti che l’importanza e la delicatezza dell’argomento abbiano fatto ritardare l’esecuzione dell’opera. Inizialmente, Van Sant voleva come protagonista un attore danese, che non parlasse inglese. Il suo protagonista doveva essere infatti completamente muto. Poi, ha optato per Michael Pitt, che vediamo suonare una versione acustica di una sua canzone, intitolata  “Death to Birth”.              
Lo stesso Gus temeva una cattiva reazione da parte della vedova di Cobain, Courtney Love, che invece, ha apprezzato Il film.

Roberta Costantini