Ang Lee, il leone ruggisce ancora

01/01/2008

L’amore come passione impossibile e il contrasto tra esigenze e pulsioni personali e società. È questo il “fil rouge” che accomuna i film del taiwanese Ang Lee, classe 1954, che ecletticamente non è mai tornato due volte sullo stesso genere, frequentando di volta in volta la commedia sentimentale (“Il banchetto di nozze”), quella di costume (“Mangiare bere uomo donna”), il film romantico d'inizio 800 (“Ragione e sentimento”), il dramma psicologico e famigliare (“Tempesta di ghiaccio”), il bellico ambientato durante la guerra di secessione (“Cavalcando col diavolo”), il wuxia (“La tigre e il dragone”), l’avventuroso fumettistico (“Hulk”), il melodramma d’amore ( “Brokeback Mountain”) e ora l'erotico con “Lust, caution”, premiato (tra qualche ingiusta polemica) all'ultima Mostra del Cinema di Venezia.

È abituato ai premi, Lee: due Orsi d'Oro (per “Il banchetto di nozze”e “Ragione e sentimento”), due Leoni d'Oro (questo e quello per lo stupendo “Brockeback Mountain”), un Oscar alla regia (sempre per “Brokeback Mountain”). Li merita anche, grazie alla sua versatilità e sensibilità , alla sua capacità di scegliere i volti giusti e dirigere gli attori, al suo saper creare un gruppo di lavoro omogeneo e al suo fiuto nello scegliere ottime sceneggiature .

Già dal suo secondo film, e primo ad essere distribuito in Italia, appunto “Il banchetto di nozze”, nella storia ilare di una ragazzo di Taiwan che, trasferitosi a vivere a New York col proprio compagno, riceve la visita degli attempati genitori e decide allora di ingannarli combinando un matrimonio copertura con una conterranea bisognosa di green card, si poteva leggere, tra le righe della pochade, l’ispirazione ribelle e melò. Ogni personaggio è fuori posto nel mondo in cui vive, e non si rassegna a ciò, e procedendo ci si avvia verso il dramma, che però non si consuma, ma si riconcilia in un happy end delicato e insieme trasgressivo. Non c’è quindi da stupirsi se due anni dopo si cimenta nella riuscitissima regia di “Ragione e sentimento”. Un cinese che mette in scena Jane Austen? Se è tutto orientale il tocco con cui filma la campagna e la pioggia inglesi, è da notare anche che, sorretto dalla sceneggiatura semplicemente perfetta di Emma Thompson, Lee è chiaramente in sintonia col tema del contrasto tra una società opprimente che costringe a reprimere i propri sentimenti e a comportarsi “ragionevolmente”, e il cuore votato alla passione, e fonda abilmente ironia, critica sociale e spudorato romanticismo. Il registro cambia decisamente con “Tempesta di ghiaccio”, in cui affronta il vuoto sentimentale ed esistenziale e gli impulsi sessuali di due generazioni di americani bene negli anni ’70: gelido, amaro, crudelmente ironico, senza speranza ( i giovani falliscono quanto gli adulti, e chi è sensibile soccombe), con inquadrature minimali chiuse sui volti intensi dell’ottimo cast, Lee si concede finalmente un finale drammatico, che tornerà più tardi nel celebratissimo “La tigre e il dragone”. Il genere nel quale si muove è quello, tipicamente cinese, del wuxiapian, vagamente corrispondente al nostro cappa e spada, ma, pur rispettandone temi, toni e stereotipi, reinventa il tutto grazie all’accentuazione data al ruolo della passione, che si ripete specularmente in due diverse coppie d’eroi (speculari anche a quelle di “Ragione e sentimento”: i più maturi che si reprimono, i più giovani che si lasciano travolgere) – per non dimenticare il complesso personaggio “negativo” di Volpe d’Argento, anch’essa vittima di sentimenti traditi. È in questo film che confluiscono tutti i conflitti sessuali, sentimentali e sociali dei precedenti film, e il gusto spiccato per un romanticismo assoluto che trascolora nei toni caldi del melodramma. Tra “La Tigre e il Dragone” e “Brokeback Mountain” il passo è breve, ma in mezzo si colloca l’avventuroso “Hulk”, non però estraneo al resto della sua cinematografia. Dietro a una parvenza di film fanciullesco si affaccia infatti il dramma di un uomo in conflitto con sé e col mondo che lo circonda, che si mostrifica – diventando però un eroe! – quando cede al sentimento dell’ira, e trova la salvezza nell’amore contrastato, vincendo però solo quando sopprimerà la figura paterna. Col film sui due cowboy che si amano attraverso gli anni e che si vedranno sconfitti dal buoncostume e dalla repressione, Lee riesce a far piangere tanto gli omosessuali quanto gli eterosessuali, ma riesce a farlo senza scadere nell'ovvio, anzi raffreddando il tutto e dando maggior risalto ai piccoli particolari di un'esistenza squallida che ai tramonti magici. Infine oggi ci propone una pellicola che parla apertamente il linguaggio erotico dei corpi in mezzo a una storia di spionaggio e tradimento, di amore e crudeltà.
Ancora una volta, di passione.


Insomma, dietro a film di genere o d’autore, dietro a commedie o a film commoventi, sempre Ang Lee ci dice che al cuore non si comanda, anche se per seguirlo occorrono sacrifici.

Elena Aguzzi