L’amore
come passione impossibile e il contrasto tra esigenze
e pulsioni personali e società.
È questo il “fil rouge” che
accomuna i film del taiwanese Ang Lee,
classe 1954, che ecletticamente non è mai
tornato due volte sullo stesso genere, frequentando
di volta in volta la commedia sentimentale (“Il
banchetto di nozze”), quella di costume
(“Mangiare bere uomo donna”), il film
romantico d'inizio 800 (“Ragione e sentimento”),
il dramma psicologico e famigliare (“Tempesta
di ghiaccio”), il bellico ambientato durante
la guerra di secessione (“Cavalcando col
diavolo”), il wuxia (“La tigre e il
dragone”), l’avventuroso fumettistico
(“Hulk”), il melodramma d’amore
( “Brokeback Mountain”) e ora l'erotico
con “Lust, caution”,
premiato (tra qualche ingiusta polemica) all'ultima
Mostra del Cinema di Venezia.
È abituato
ai premi, Lee: due Orsi d'Oro (per “Il banchetto
di nozze”e “Ragione e sentimento”),
due Leoni d'Oro (questo e quello per lo stupendo
“Brockeback Mountain”), un Oscar alla
regia (sempre per “Brokeback Mountain”).
Li merita anche, grazie alla sua versatilità
e sensibilità , alla sua capacità
di scegliere i volti giusti e dirigere gli attori,
al suo saper creare un gruppo di lavoro omogeneo
e al suo fiuto nello scegliere ottime sceneggiature
.
Già dal suo secondo film, e primo ad essere
distribuito in Italia, appunto “Il banchetto
di nozze”, nella storia ilare di una
ragazzo di Taiwan che, trasferitosi a vivere a
New York col proprio compagno, riceve la visita
degli attempati genitori e decide allora di ingannarli
combinando un matrimonio copertura con una conterranea
bisognosa di green card, si poteva leggere, tra
le righe della pochade, l’ispirazione ribelle
e melò. Ogni personaggio è fuori
posto nel mondo in cui vive, e non si rassegna
a ciò, e procedendo ci si avvia verso il
dramma, che però non si consuma, ma si
riconcilia in un happy end delicato e insieme
trasgressivo. Non c’è quindi da stupirsi
se due anni dopo si cimenta nella riuscitissima
regia di “Ragione e sentimento”.
Un cinese che mette in scena Jane Austen? Se è
tutto orientale il tocco con cui filma la campagna
e la pioggia inglesi, è da notare anche
che, sorretto dalla sceneggiatura semplicemente
perfetta di Emma Thompson, Lee è chiaramente
in sintonia col tema del contrasto tra una società
opprimente che costringe a reprimere i propri
sentimenti e a comportarsi “ragionevolmente”,
e il cuore votato alla passione, e fonda
abilmente ironia, critica sociale e spudorato
romanticismo. Il registro cambia decisamente
con “Tempesta di ghiaccio”, in cui
affronta il vuoto sentimentale ed esistenziale
e gli impulsi sessuali di due generazioni di americani
bene negli anni ’70: gelido, amaro, crudelmente
ironico, senza speranza ( i giovani falliscono
quanto gli adulti, e chi è sensibile soccombe),
con inquadrature minimali chiuse sui volti intensi
dell’ottimo cast, Lee si concede finalmente
un finale drammatico, che tornerà più
tardi nel celebratissimo “La tigre e
il dragone”. Il genere nel quale si
muove è quello, tipicamente cinese, del
wuxiapian, vagamente corrispondente al nostro
cappa e spada, ma, pur rispettandone temi, toni
e stereotipi, reinventa il tutto grazie all’accentuazione
data al ruolo della passione, che si ripete specularmente
in due diverse coppie d’eroi (speculari
anche a quelle di “Ragione e sentimento”:
i più maturi che si reprimono, i più
giovani che si lasciano travolgere) – per
non dimenticare il complesso personaggio “negativo”
di Volpe d’Argento, anch’essa vittima
di sentimenti traditi. È in questo film
che confluiscono tutti i conflitti sessuali,
sentimentali e sociali dei precedenti
film, e il gusto spiccato per un romanticismo
assoluto che trascolora nei toni caldi del melodramma.
Tra “La Tigre e il Dragone” e “Brokeback
Mountain” il passo è breve,
ma in mezzo si colloca l’avventuroso “Hulk”,
non però estraneo al resto della sua cinematografia.
Dietro a una parvenza di film fanciullesco si
affaccia infatti il dramma di un uomo in conflitto
con sé e col mondo che lo circonda, che
si mostrifica – diventando però un
eroe! – quando cede al sentimento dell’ira,
e trova la salvezza nell’amore contrastato,
vincendo però solo quando sopprimerà
la figura paterna. Col film sui due cowboy che
si amano attraverso gli anni e che si vedranno
sconfitti dal buoncostume e dalla repressione,
Lee riesce a far piangere tanto gli omosessuali
quanto gli eterosessuali, ma riesce a farlo senza
scadere nell'ovvio, anzi raffreddando il tutto
e dando maggior risalto ai piccoli particolari
di un'esistenza squallida che ai tramonti magici.
Infine oggi ci propone una pellicola che parla
apertamente il linguaggio erotico dei corpi in
mezzo a una storia di spionaggio e tradimento,
di amore e crudeltà.
Ancora una volta, di passione.
Insomma, dietro a film di genere o d’autore,
dietro a commedie o a film commoventi, sempre
Ang Lee ci dice che al cuore non si comanda,
anche se per seguirlo occorrono sacrifici.