Addio a Ben Hur

03/05/2008

Una delle cose più tristi che tocca fare a un cronista di spettacolo, è il dover aggiungere settimanalmente un necrologio.
Passata la divina Deborah Kerr in un momento di tale affastellarsi di morti che non ha avuto nemmeno il giusto ricordo, appena salutato il venerabile Widmark, ecco che ora dobbiamo dare l'addio a un altro grande vecchio, che sembrava immarcescibile nonostante il brutto malanno che lo aveva colpito, e che lui stesso aveva denunciato prima di sparire dignitosamente dalla circolazione, in attesa di chiudere gli occhi: Charlton Heston.
Pensando ad Heston la prima cosa che viene in mente non è, purtroppo, la bravura, ma la bellezza. Non per il semplice fatto che era bellissimo, ma perché la sua era una bellezza che si imponeva sui ruoli: alto e robusto in modo spettacolare, col volto virilmente scolpito, dotato oltretutto di una voce fonda e sonante da brivido, era “condannato” a interpretare ruoli atletici, eroici, biblici, con ampi spazi di nudità persino in epoche in cui la nudità era proibita.
Dei circa 100 film che ha interpretato, i primi titoli che saltano alla mente, infatti, sono “Ben Hur”, il suo film-simbolo e per il quale ha vinto un premio Oscar, “I dieci comandamenti”, “Il tormento e l'estasi” (più che di Michelangelo ha il fisico di una sua statua), il bellissimo “Il pianeta delle scimmie”, ai quali si aggiungono poi una serie di western, bellici e film d'azione varia e vario valore. Anche se negli ultimi 20 anni non ha più avuto un ruolo da protagonista, ha comunque continuato a recitare tantissimo, lasciando un'impronta anche in ruoli minori o addirittura camei.
Il film più bello da lui interpretato è quello in cui è meno riconoscibile, “L'infernale Quinlan” di Orson Welles, in cui coraggiosamente veste i panni di un onesto poliziotto messicano, Vargas, riuscendo a risultare credibile, mentre il suo ruolo che maggiormente amiamo è quello del maggiore Dundee nel film omonimo, in italiano però assurdamente intitolato col nome del nemico da lui inseguito, “Sierra Charriba”, di Sam Peckinpah: i conflitti interiori e il fanatismo del maggiore sono resi alla perfezione, e i suoi scontri col prigioniero sudista ( e gran signore) Richard Harris sono memorabili.
Impegnato politicamente, fu negli ultimi anni presidente dell'associazione pro armi, il che lo espose a facili attacchi dai soliti noti che lo etichettarono come destrorso ( e se anche?), dimenticando la sua amicizia con Martin Luther King.

Elena Aguzzi