I maestri del cinema brillante americano

01/01/2008

Tra i generi cinematografici hollywoodiani (e non solo) che, sia ben chiaro, sono tutti in declino, la commedia brillante è quella messa peggio, o seconda soltanto al western. Mentre però di western se ne producono sempre meno, mentre fantasy, horror e poliziesco sono generi ormai continuamente contaminati (tra loro e con altri generi) e i risultati oscillano tra il pietoso e il passabile, ma hanno ancora autori che in parte li nobilitano (con un margine di dubbio, però, perché solo la memoria futura potrà sancirne l’effettivo valore) come Tim Burton, Tarantino, Jackson, Raimi, Rodriguez eccetera, con in più qualche anziano, effettivo maestro che ogni tanto (tradotto: non sempre) regala gioie ai (veri) appassionati (De Palma, Michael Mann, Cronerberg i più attivi, e poi Carpenter, Craven, Romero, e perché no, anche l’algido, genialmente marginale – rispetto alle epoche, ai generi, all’idea di cinema che deve essere comprensibile a tutti e perciò generare profitto - David Lynch), la commedia sta oggettivamente attraversando una crisi creativa che appare irreversibile. D’altra parte, mentre per girare un horror purtroppo sembrano bastare un tecnico degli effetti digitali e un regista di spot decerebrato e dunque, tanto per fare un esempio, con l’aggiunta di un po’ di trucidume assortito i fanatici manco si accorgono dell’infinita bruttezza di Saw 3, per realizzare una buona commedia ci vogliono stile, buon gusto, arguzia, cultura e chi più ne ha più ne metta, tutte qualità che nel cinema americano contemporaneo (e ribadiamo: non solo) scarseggiano e, comunque, della cui assenza un cinefilo degno di questo nome (non certo chi va matto per Manuale d’amore e Romanzo criminale o per i film della Pirelli) s’accorge. Anche qui gli esempi si sprecano. Sono degni della grande tradizione brillante hollywoodiana film come Perché te lo dice mamma (firmato tra l’altro da un regista un tempo dignitoso come Michael Lehmann), o la paccottiglia brillante/sentimentale di Scrivimi una canzone, o non-esistono-aggettivi-per-definirlo Norbit? Lo spappolamento di uno dei più grandi personaggi della commedia americana, l’ispettore Clouseau, nel recente film di quel pessimo regista che è Scott Levy, rende bene l’idea di come funzionano oggigiorno le cose da quelle parti. Ridurre a bambocciata per ragazzini deficienti la complessità del mondo cinematografico di Blake Edwards, genio assoluto sempre oscillante tra sophisticated comedy, comicità volutamente grossolana e cupa malinconia crepuscolare (e come solo pochi riescono a fare, con furiosa misantropia nichilista, mai domo e mai desideroso di trovare un equilibrio buono per tutti i palati), è l’ennesimo, imperdonabile misfatto compiuto dai manager che dirigono le major e che ne conferma (caso mai ce ne fosse bisogno) una volta di più la crassa, bestiale ignoranza (che d’altra parte ci si aspetta da chi pensa solo al business). Dei grandi della commedia americana, Blake Edwards è l’ultimo titanico rappresentante, purtroppo inattivo dal 1993, anno in cui ha diretto Benigni ne Il figlio della Pantera rosa. Film non del tutto riuscito, ma sempre meglio del 99% delle commedie attuali. I grandi maestri si riconoscono anche così: i loro film peggiori sono migliori di qualsiasi film di un mediocre regista. Ma di film brutti Edwards non ne ha mai girati. Ha diretto anche film su commissione, o rovinati dai produttori, ma sempre con rara intelligenza e talento. Se titoli come Hollywood party e La pantera rosa, Colazione da Tiffany e Victor Victoria, I giorni del vino e delle rose (quest’ultimo tra la commedia e il dramma) e La grande corsa, In licenza a Parigi e Operazione sottoveste sono capolavori unanimemente riconosciuti (quantomeno da chi capisce di cinema), altri godono di minor considerazione critica perché ritenuti dei semplici sequel (Uno sparo nel buio, il cui splendido incipit basta da solo a dimostrare il talento del regista, La pantera rosa colpisce ancora) o rifacimenti non all’altezza del originale (il sottovalutato I miei problemi con le donne, remake americano del Truffaut di L’uomo che amava le donne) o ancora parzialmente riusciti per vicissitudini produttive (Operazione Crêpes Suzette, rimaneggiato e accorciato ma sempre geniale, come lo spionistico Il seme del tamarindo e il thriller Operazione terrore), perché troppo di successo (10, che lanciò Bo Derek) o troppo critici verso Hollywood (lo straordinario S.O.B. e Sunset – Intrigo a Hollywood) eccetera. Per spiegare la personalità di Blake Edwards, può servire questa sua dichiarazione: «Credo che la follia possa a volte essere di gran lunga più creatrice della ragione: forse non è una cosa desiderabile ma alla lunga è infinitamente più inventiva di ciò che è normalmente ammesso come ragionevole». Dichiarazione che di sicuro avrebbe sottoscritto un regista che infatti era per certi versi simile a Edwards, cioè Frank Tashlin. Un altro cineasta che rischia seriamente di finire nel dimenticatoio, capace di spaziare dalla commedia sofisticata alla comicità slapstick e iconoclasta, ma con una raffinatezza creativa, una personalità e un rispetto per il proprio lavoro (e quindi per il pubblico) che in tempi di parodie di pessimo gusto (cinematografico) come Epic movie e compagnia bella andrebbe preso ad esempio. Adorato dai Cahiers e in particolare da Jean-Luc Godard, che quasi lo preferiva a Billy Wilder, Tashlin nacque nel 1913 nel New Jersey e morì nel 1972. Cominciò come fumettista, gagman, autore di libri per ragazzi, sceneggiatore (suoi alcuni script per i fratelli Marx, Una notte a Casablanca, del ’46, di Archie Mayo, e Una notte sui tetti, diretto nel ’49 da David Miller, e per la commedia musicale del 1948 Il bacio di Venere, film diretto da William Seiter e interpretato da Ava Gardner), per esordire poi nella regia nei primi anni ’50 con Il figlio di Viso Pallido (’52) e Il bisbetico domato (’53). Di lui Godard ha scritto: «Frank Tashlin non ha rinnovato la commedia americana. Ha fatto di meglio. Fra Hollywood or bust e Accadde una notte, fra Gangster cerca moglie e Partita a quattro non c’è una differenza di grado ma di natura. Insomma, invece di rinnovare Frank Tashlin ha “creato”». Potrà sembrare strano a chi pensa che l’aggettivo fantasioso possa essere usato solo per i voli (non pindarici, ma digitali) di Spider-man tra i grattacieli o per le sciocchezzuole alla Harry Potter, ma Tashlin appartiene a un’epoca in cui per fare cinema a Hollywood bisognava avere fantasia, e lui ne aveva parecchia, riversata in più di venti film. Quasi tutti di genere comico o brillante ma alcuni anche con soggetti spionistici, come i due con Doris Day (La mia spia di mezzanotte e Caprice: la cenere che scotta, girati tra il ’66 e il ‘67) e comunque in varie occasioni costruiti su trame variamente e vagamente gialle, noir e avventurose, e spesso con protagonisti Jerry Lewis e Dean Martin. Per una decina d’anni Tashlin ha diretto una serie di gioielli irripetibili. Artisti e modelle (’55), con una deliziosa Shirley MacLaine e Anita Ekberg pre-Dolce vita; Gangster cerca moglie (The Girl Can’t Help It, ’56), in cui Tom Ewell un anno dopo Quando la moglie è in vacanza passa dalle curve di Marilyn a quelle di Jane Mansfield; Hollywood o morte (’56), in cui Lewis e Martin per l’ultima volta insieme vanno a Hollywood per conoscere ancora la Ekberg; Mia moglie è di leva (’56) con Ewell che deve fare i conti con la moglie arruolata per errore; La bionda esplosiva (Will Success Spoil Rock Hunter?, ’57), scatenata satira del mondo pubblicitario che forse qualche “ggiovane” regista contemporaneo che ancora pensa che fare politica al cinema sia mettere in scena il Sessantotto dovrebbe guardarsi, con ancora Jane Mansfield; Il balio asciutto (Rock-a-Bye Baby, ’58), altra sapida critica al mondo dei mass-media; e poi Il ponticello sul fiume dei guai; Dinne una per me (commedia musicale con Debbie Reynolds e Bing Crosby); Il cenerentolo; il bellissimo L’appartamento dello scapolo, con il grande Therry-Thomas e l’afffascinante, indimenticabile Tuesday Weld; il comico investigativo Sherlocko … investigatore sciocco, altro punto in comune tra Tashlin e Blake Edwards; Dove vai sono guai; Il piede più lungo; Pazzi, pupe e pillole, uno dei migliori film comici mai realizzati e interpretati da Jerry Lewis; l’elegante parodia gialla Poirot e il caso Amanda (ancora con la musa tashliniana Anita Ekberg); e l’ultimo, Mash – La guerra privata del sergente O’Farrell, con Bobe Hope, scatenata avventura comico/esotica arricchita dalla presenza di due bellezze europee: Mylene Demongeot e Gina Lollobrigida. Probabilmente più di ogni altro regista di commedie e film comici, Tashlin attraversa e incide con la sua genialità un’epoca irrimediabilmente scomparsa, in cui far ridere era una cosa seria per uomini intelligenti, non come oggi un giochetto sterile e squallido in cui registi e pubblico fanno a gara tra chi è più cinematograficamente rozzo e incolto.

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Roberto Frini