Tra
i generi cinematografici hollywoodiani (e non
solo) che, sia ben chiaro, sono tutti in declino,
la commedia brillante è quella messa peggio,
o seconda soltanto al western. Mentre però
di western se ne producono sempre meno, mentre
fantasy, horror e poliziesco sono generi ormai
continuamente contaminati (tra loro e con altri
generi) e i risultati oscillano tra il pietoso
e il passabile, ma hanno ancora autori che in
parte li nobilitano (con un margine di dubbio,
però, perché solo la memoria futura
potrà sancirne l’effettivo valore)
come Tim Burton, Tarantino, Jackson, Raimi, Rodriguez
eccetera, con in più qualche anziano, effettivo
maestro che ogni tanto (tradotto: non sempre)
regala gioie ai (veri) appassionati (De Palma,
Michael Mann, Cronerberg i più attivi,
e poi Carpenter, Craven, Romero, e perché
no, anche l’algido, genialmente marginale
– rispetto alle epoche, ai generi, all’idea
di cinema che deve essere comprensibile a tutti
e perciò generare profitto - David Lynch),
la commedia sta oggettivamente attraversando una
crisi creativa che appare irreversibile. D’altra
parte, mentre per girare un horror purtroppo sembrano
bastare un tecnico degli effetti digitali e un
regista di spot decerebrato e dunque, tanto per
fare un esempio, con l’aggiunta di un po’
di trucidume assortito i fanatici manco si accorgono
dell’infinita bruttezza di Saw 3,
per realizzare una buona commedia ci vogliono
stile, buon gusto, arguzia, cultura e chi più
ne ha più ne metta, tutte qualità
che nel cinema americano contemporaneo (e ribadiamo:
non solo) scarseggiano e, comunque, della cui
assenza un cinefilo degno di questo nome (non
certo chi va matto per Manuale d’amore e Romanzo criminale o per i film della
Pirelli) s’accorge. Anche qui gli esempi
si sprecano. Sono degni della grande tradizione
brillante hollywoodiana film come Perché
te lo dice mamma (firmato tra l’altro
da un regista un tempo dignitoso come Michael
Lehmann), o la paccottiglia brillante/sentimentale
di Scrivimi una canzone, o non-esistono-aggettivi-per-definirlo
Norbit? Lo spappolamento di uno dei più
grandi personaggi della commedia americana, l’ispettore
Clouseau, nel recente film di quel pessimo regista
che è Scott Levy, rende bene l’idea
di come funzionano oggigiorno le cose da quelle
parti. Ridurre a bambocciata per ragazzini deficienti
la complessità del mondo cinematografico
di Blake Edwards, genio assoluto
sempre oscillante tra sophisticated comedy, comicità
volutamente grossolana e cupa malinconia crepuscolare
(e come solo pochi riescono a fare, con furiosa
misantropia nichilista, mai domo e mai desideroso
di trovare un equilibrio buono per tutti i palati),
è l’ennesimo, imperdonabile misfatto
compiuto dai manager che dirigono le major e che
ne conferma (caso mai ce ne fosse bisogno) una
volta di più la crassa, bestiale ignoranza
(che d’altra parte ci si aspetta da chi
pensa solo al business). Dei grandi della commedia
americana, Blake Edwards è l’ultimo
titanico rappresentante, purtroppo inattivo dal
1993, anno in cui ha diretto Benigni ne Il
figlio della Pantera rosa. Film non del tutto
riuscito, ma sempre meglio del 99% delle commedie
attuali. I grandi maestri si riconoscono anche
così: i loro film peggiori sono migliori
di qualsiasi film di un mediocre regista. Ma di
film brutti Edwards non ne ha mai girati. Ha diretto
anche film su commissione, o rovinati dai produttori,
ma sempre con rara intelligenza e talento. Se
titoli come Hollywood party e La
pantera rosa, Colazione da Tiffany e Victor Victoria, I giorni del vino
e delle rose (quest’ultimo tra la commedia
e il dramma) e La grande corsa, In
licenza a Parigi e Operazione sottoveste sono capolavori unanimemente riconosciuti (quantomeno
da chi capisce di cinema), altri godono di minor
considerazione critica perché ritenuti
dei semplici sequel (Uno sparo nel buio,
il cui splendido incipit basta da solo a dimostrare
il talento del regista, La pantera rosa colpisce
ancora) o rifacimenti non all’altezza
del originale (il sottovalutato I miei problemi
con le donne, remake americano del Truffaut
di L’uomo che amava le donne) o
ancora parzialmente riusciti per vicissitudini
produttive (Operazione Crêpes Suzette,
rimaneggiato e accorciato ma sempre geniale, come
lo spionistico Il seme del tamarindo e il thriller Operazione terrore), perché
troppo di successo (10, che lanciò
Bo Derek) o troppo critici verso Hollywood (lo
straordinario S.O.B. e Sunset –
Intrigo a Hollywood) eccetera. Per spiegare
la personalità di Blake Edwards, può
servire questa sua dichiarazione: «Credo
che la follia possa a volte essere di gran lunga
più creatrice della ragione: forse non
è una cosa desiderabile ma alla lunga è
infinitamente più inventiva di ciò
che è normalmente ammesso come ragionevole».
Dichiarazione che di sicuro avrebbe sottoscritto
un regista che infatti era per certi versi simile
a Edwards, cioè Frank Tashlin.
Un altro cineasta che rischia seriamente di finire
nel dimenticatoio, capace di spaziare dalla commedia
sofisticata alla comicità slapstick e iconoclasta,
ma con una raffinatezza creativa, una personalità
e un rispetto per il proprio lavoro (e quindi
per il pubblico) che in tempi di parodie di pessimo
gusto (cinematografico) come Epic movie e compagnia bella andrebbe preso ad esempio. Adorato
dai Cahiers e in particolare da Jean-Luc Godard,
che quasi lo preferiva a Billy Wilder, Tashlin
nacque nel 1913 nel New Jersey e morì nel
1972. Cominciò come fumettista, gagman,
autore di libri per ragazzi, sceneggiatore (suoi
alcuni script per i fratelli Marx, Una notte
a Casablanca, del ’46, di Archie Mayo,
e Una notte sui tetti, diretto nel ’49
da David Miller, e per la commedia musicale del
1948 Il bacio di Venere, film diretto
da William Seiter e interpretato da Ava Gardner),
per esordire poi nella regia nei primi anni ’50
con Il figlio di Viso Pallido (’52)
e Il bisbetico domato (’53). Di
lui Godard ha scritto: «Frank Tashlin non
ha rinnovato la commedia americana. Ha fatto di
meglio. Fra Hollywood or bust e Accadde
una notte, fra Gangster cerca moglie e Partita a quattro non c’è
una differenza di grado ma di natura. Insomma,
invece di rinnovare Frank Tashlin ha “creato”».
Potrà sembrare strano a chi pensa che l’aggettivo
fantasioso possa essere usato solo per i voli
(non pindarici, ma digitali) di Spider-man tra
i grattacieli o per le sciocchezzuole alla Harry
Potter, ma Tashlin appartiene a un’epoca
in cui per fare cinema a Hollywood bisognava avere
fantasia, e lui ne aveva parecchia, riversata
in più di venti film. Quasi tutti di genere
comico o brillante ma alcuni anche con soggetti
spionistici, come i due con Doris Day (La
mia spia di mezzanotte e Caprice: la
cenere che scotta, girati tra il ’66
e il ‘67) e comunque in varie occasioni
costruiti su trame variamente e vagamente gialle,
noir e avventurose, e spesso con protagonisti
Jerry Lewis e Dean Martin. Per una decina d’anni
Tashlin ha diretto una serie di gioielli irripetibili.
Artisti e modelle (’55), con una
deliziosa Shirley MacLaine e Anita Ekberg pre-Dolce
vita; Gangster cerca moglie (The
Girl Can’t Help It, ’56), in
cui Tom Ewell un anno dopo Quando la moglie
è in vacanza passa dalle curve di
Marilyn a quelle di Jane Mansfield; Hollywood
o morte (’56), in cui Lewis e Martin
per l’ultima volta insieme vanno a Hollywood
per conoscere ancora la Ekberg; Mia moglie
è di leva (’56) con Ewell che
deve fare i conti con la moglie arruolata per
errore; La bionda esplosiva (Will Success
Spoil Rock Hunter?, ’57), scatenata satira
del mondo pubblicitario che forse qualche “ggiovane”
regista contemporaneo che ancora pensa che fare
politica al cinema sia mettere in scena il Sessantotto
dovrebbe guardarsi, con ancora Jane Mansfield;
Il balio asciutto (Rock-a-Bye Baby, ’58),
altra sapida critica al mondo dei mass-media;
e poi Il ponticello sul fiume dei guai;
Dinne una per me (commedia musicale con
Debbie Reynolds e Bing Crosby); Il cenerentolo;
il bellissimo L’appartamento dello scapolo,
con il grande Therry-Thomas e l’afffascinante,
indimenticabile Tuesday Weld; il comico investigativo
Sherlocko … investigatore sciocco,
altro punto in comune tra Tashlin e Blake Edwards;
Dove vai sono guai; Il piede più
lungo; Pazzi, pupe e pillole, uno
dei migliori film comici mai realizzati e interpretati
da Jerry Lewis; l’elegante parodia gialla
Poirot e il caso Amanda (ancora con la
musa tashliniana Anita Ekberg); e l’ultimo,
Mash – La guerra privata del sergente
O’Farrell, con Bobe Hope, scatenata
avventura comico/esotica arricchita dalla presenza
di due bellezze europee: Mylene Demongeot e Gina
Lollobrigida. Probabilmente più di ogni
altro regista di commedie e film comici, Tashlin
attraversa e incide con la sua genialità
un’epoca irrimediabilmente scomparsa, in
cui far ridere era una cosa seria per uomini intelligenti,
non come oggi un giochetto sterile e squallido
in cui registi e pubblico fanno a gara tra chi
è più cinematograficamente rozzo
e incolto.
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