
E’ l’unico che in “Parnassus” ha saputo sostituire Heath Ledger con dignità. Colin Farrell, celebre per il suo straordinario sex appeal e i gossip ad esso legato, non sente parlare di sé come attore quanto meriterebbe. E invece, a guardare la galleria di sensibili interpretazioni che lo mettono in risalto e di interessanti pellicole che lo rendono protagonista, l’attore irlandese si staglia sempre combinando la passionalità di un naturale erotismo alla fragilità ricca di sfumature di personaggi spesso tormentati da sensi di colpa. Da “Sogni e Delitti”, il noir con cui Woody Allen assume accenti shakespeariani, a quel gioiellino di tagica ironia che è “In Bruges”.
E in questa galleria s’inserisce Mark Walsh, fotoreporter di guerra in “Triage”, dal 27 novembre sui nostri schermi. Il film di Danis Tanovic non aggiunge molto ai numerosi già girati sugli effetti che gli orrori della guerra riportano sull’animo umano, con dolorosa rimozione del senso di colpa, ma ha il merito di esaltare un Colin Farrell particolarmente in stato di grazia, affiancandolo ad un intramontabile Christopher Lee, oscuro psichiatra che scruta implacabile le ferite della psiche del fotoreporter di guerra, sfoderando un grandioso accento ispanico.
“Reduce” da un servizio nel Kurdistan dove ha assistito ad “uccisioni misericordiose” in un ospedale e subìto un incidente, dietro il quale si nasconde uno shock inconfessato, Mark Walsh torna mutato tanto nel fisico, che accusa una lenta paralisi, quanto nel profondo, nonostante la scorza di cinica superficialità che seguita ad ostentare. Colin Farrell assorbe nel proprio corpo la complessa gamma di sentimenti caricandolo di un dolore che riflette il dolore negato dell’anima.
Un’interpretazione sofferta e potente che ne riconferma il talento: d’altra parte, andando indietro di qualche anno, ricordiamolo capace di sostenere un intero film all’interno di una cabina telefonica.