
A
parte qualche strafalcione nelle candidature (Espiazione
e Michael Clayton al posto di Into the wild e
Il buio nell'anima), quest'anno l'assegnazione
degli Oscar non poteva presentare né sorprese
né errori, poiché ovunque si scegliesse
non si poteva che scegliere bene e in modo prevedibile.
E così ecco trionfare i fratelli Joel e
Ethan Coen per “Non è un paese per
vecchi”, miglior film e miglior regia (forse
quest'ultima poteva andare a Paul Thomas Anderson
per There will be blood o a Julian Schnabel per
Lo scafandro e la farfalla, ma si sa che gli Academy
tendono andare ad accumulo, e comunque è
un premio che ci sta perfettamente). Per il miglior
attore e la migliore attrice protagonista, con
le candidature di Daniel Day Lewis e Marion Cotillard
per “Il petroliere” e “La vie
en rose”, non c'era storia per gli altri
candidati, così come non ce n'era per il
miglior attore non protagonista, vista la presenza
del bravissimo “vilain” Javier Bardem
(che tra oscar e festival si avvia a essere uno
degli attori più premiati della storia
del cinema), mentre forse è meno scontato
quello per la miglior attrice non protagonista,
la cattivissima Tilda Swinton di “Michael
Clayton”: non che non sia meritato o prevedibile,
ma la doppia candidatura di Cate Blanchett poteva
essere un serio problema per la star inglese.
Niente da obiettare nemmeno sul miglior film in
lingua non inglese (“Il falsario”,
austriaco), per il miglior film d'animazione (“Ratatouille”)
o sui vari premi tecnici, tra i quali spiccano
Robert Elswit per la fotografia de “Il petroliere”
e gli italiani Ferretti e Lo Schiavo per le scenografie
di “Sweeny Todd”. Apprezzabilissimi
i premi alle migliori sceneggiature: i non professionisti
fratelli Coen per l'adattamento di “No country
for old men” e l'esordiente Diablo Cody
per la sceneggiatura originale di “Juno”:
in questo modo l'Academy ha trovato il modo sia
di premiare il talento che di bacchettare la categoria
degli sceneggiatori, che ha dato tanti problemi
a Hollywood con lo sciopero degli ultimi mesi.
Un'ultima osservazione: Coen a parte, i vincitori
sono tutti europei. Perché allora il cinema
europeo non è più capace di camminare
sulle proprie gambe e deve sempre elemosinare
ruoli e incarichi a Hollywood?

FRATELLI GIOIELLI
Come
dicevamo nella nostra introduzione al bellissimo
“Non è un paese per vecchi”,
il cinema dei fratelli Coen ha due anime: una
nera e una grottesca. A volte prevale l'una (Blood
simple, Crocevia della morte, Fargo, L'uomo che
non c'era), a volte la seconda (Arizona junior,
Barton Fink, Fratello dove sei?, Il grande Lebowski),
ma sempre si mescolano: c'è un tocco di
noir persino nelle due commedie più semplici,
Mister Hula Hoop e Prima ti sposo poi ti rovino.
Così come, anche nel film che ha trionfato
all'ultima edizione degli Academy Awards, pur
nella sua desolante cupezza, c'è un sottile
filo di ironia che illumina il tutto, e che probabilmente
ha portato i due fratelli texani a sbaragliare
l'agguerrita concorrenza. Gli Oscar, si sa, non
amano le commedie, ma nemmeno i film troppo dark,
e “No country for old men” è
decisamente un film violento oltre i loro abituali
standard.
Un trionfo meritato, sia per il film in sé
che per la carriera in toto di Joel ed Ethan Coen,
che, sempre indipendenti e con budget ridotti,
sono riusciti a influenzare e in qualche modo
cambiare l'attuale cinema americano (e forse non
solo) con un nuovo gusto e un tocco personalissimo
che trae origine da una cinefilia estrema, e che
nei primi tempi li ha visti complici del talentuoso
Sam Raimi, lui però ormai fagocitato dagli
hollywoodiani Spidermen.
Analizzare in modo approfondito la loro cinematografia
richiede un libro, non un articolo, ma in breve
si possono notare come fili conduttori, a livello
tecnico, l'uso di carrelli, di grandangoli, di
luci fortemente contrastate, di riprese dal basso
verso l'alto, di profondità di campo e
di scenografie essenziali e fortemente caratterizzanti
– tutte eredità del cinema noir anni
'40 che loro han saputo riproporre e reinventare;
dal punto di vista tematico, l'ineluttabilità
del destino e la follia (auto)distruttiva che
coglie personaggi normali precipitati in situazioni
estreme che han spesso i contorni dell'incubo–
e anche qui siamo in pieno campo noir. Il tutto
condito però da una forte ironia, battute
incisive e attori strepitosi, quasi tutti comprimari
che con loro assurgono al ruolo di protagonisti
(John Turturro o Steve Buscemi, per esempio, devono
a loro i primi successi). Tra questi, un marchio
di fabbrica stranamente assente nel loro ultimo
successo, l'attrice Frances McDormand.
Ora la nostra sola speranza è che Hollywood
non si accorga troppo dei gioielli che ha tra
le mani e non li sommerga di soldi e offerte a
loro non congeniali, ma siamo anche quasi sicuri
che loro non accetterebbero, ostinati a proseguire
la loro idea di cinematografia indipendente, scura,
buffa e nostalgica.