And the winner is Coen Brothers

03/05/2008

A parte qualche strafalcione nelle candidature (Espiazione e Michael Clayton al posto di Into the wild e Il buio nell'anima), quest'anno l'assegnazione degli Oscar non poteva presentare né sorprese né errori, poiché ovunque si scegliesse non si poteva che scegliere bene e in modo prevedibile. E così ecco trionfare i fratelli Joel e Ethan Coen per “Non è un paese per vecchi”, miglior film e miglior regia (forse quest'ultima poteva andare a Paul Thomas Anderson per There will be blood o a Julian Schnabel per Lo scafandro e la farfalla, ma si sa che gli Academy tendono andare ad accumulo, e comunque è un premio che ci sta perfettamente). Per il miglior attore e la migliore attrice protagonista, con le candidature di Daniel Day Lewis e Marion Cotillard per “Il petroliere” e “La vie en rose”, non c'era storia per gli altri candidati, così come non ce n'era per il miglior attore non protagonista, vista la presenza del bravissimo “vilain” Javier Bardem (che tra oscar e festival si avvia a essere uno degli attori più premiati della storia del cinema), mentre forse è meno scontato quello per la miglior attrice non protagonista, la cattivissima Tilda Swinton di “Michael Clayton”: non che non sia meritato o prevedibile, ma la doppia candidatura di Cate Blanchett poteva essere un serio problema per la star inglese. Niente da obiettare nemmeno sul miglior film in lingua non inglese (“Il falsario”, austriaco), per il miglior film d'animazione (“Ratatouille”) o sui vari premi tecnici, tra i quali spiccano Robert Elswit per la fotografia de “Il petroliere” e gli italiani Ferretti e Lo Schiavo per le scenografie di “Sweeny Todd”. Apprezzabilissimi i premi alle migliori sceneggiature: i non professionisti fratelli Coen per l'adattamento di “No country for old men” e l'esordiente Diablo Cody per la sceneggiatura originale di “Juno”: in questo modo l'Academy ha trovato il modo sia di premiare il talento che di bacchettare la categoria degli sceneggiatori, che ha dato tanti problemi a Hollywood con lo sciopero degli ultimi mesi.
Un'ultima osservazione: Coen a parte, i vincitori sono tutti europei. Perché allora il cinema europeo non è più capace di camminare sulle proprie gambe e deve sempre elemosinare ruoli e incarichi a Hollywood?

FRATELLI GIOIELLI
Come dicevamo nella nostra introduzione al bellissimo “Non è un paese per vecchi”, il cinema dei fratelli Coen ha due anime: una nera e una grottesca. A volte prevale l'una (Blood simple, Crocevia della morte, Fargo, L'uomo che non c'era), a volte la seconda (Arizona junior, Barton Fink, Fratello dove sei?, Il grande Lebowski), ma sempre si mescolano: c'è un tocco di noir persino nelle due commedie più semplici, Mister Hula Hoop e Prima ti sposo poi ti rovino. Così come, anche nel film che ha trionfato all'ultima edizione degli Academy Awards, pur nella sua desolante cupezza, c'è un sottile filo di ironia che illumina il tutto, e che probabilmente ha portato i due fratelli texani a sbaragliare l'agguerrita concorrenza. Gli Oscar, si sa, non amano le commedie, ma nemmeno i film troppo dark, e “No country for old men” è decisamente un film violento oltre i loro abituali standard.
Un trionfo meritato, sia per il film in sé che per la carriera in toto di Joel ed Ethan Coen, che, sempre indipendenti e con budget ridotti, sono riusciti a influenzare e in qualche modo cambiare l'attuale cinema americano (e forse non solo) con un nuovo gusto e un tocco personalissimo che trae origine da una cinefilia estrema, e che nei primi tempi li ha visti complici del talentuoso Sam Raimi, lui però ormai fagocitato dagli hollywoodiani Spidermen.
Analizzare in modo approfondito la loro cinematografia richiede un libro, non un articolo, ma in breve si possono notare come fili conduttori, a livello tecnico, l'uso di carrelli, di grandangoli, di luci fortemente contrastate, di riprese dal basso verso l'alto, di profondità di campo e di scenografie essenziali e fortemente caratterizzanti – tutte eredità del cinema noir anni '40 che loro han saputo riproporre e reinventare; dal punto di vista tematico, l'ineluttabilità del destino e la follia (auto)distruttiva che coglie personaggi normali precipitati in situazioni estreme che han spesso i contorni dell'incubo– e anche qui siamo in pieno campo noir. Il tutto condito però da una forte ironia, battute incisive e attori strepitosi, quasi tutti comprimari che con loro assurgono al ruolo di protagonisti (John Turturro o Steve Buscemi, per esempio, devono a loro i primi successi). Tra questi, un marchio di fabbrica stranamente assente nel loro ultimo successo, l'attrice Frances McDormand.
Ora la nostra sola speranza è che Hollywood non si accorga troppo dei gioielli che ha tra le mani e non li sommerga di soldi e offerte a loro non congeniali, ma siamo anche quasi sicuri che loro non accetterebbero, ostinati a proseguire la loro idea di cinematografia indipendente, scura, buffa e nostalgica.

Elena Aguzzi